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Dalla Corte dei Conti un’altra mazzata sull’8 per mille

In estrema sintesi il commento dei giudici contabili si concentra su tre punti: carenza dei controlli, gestione arbitraria da parte dello Stato e anomalie che favoriscono la Chiesa Cattolica. Questa volta la Corte chiede un intervento istituzionale mettendo sotto accusa gli esecutivi che hanno utilizzato questi fondi per “mettere a posto” i conti pubblici. Si prospetta l’adozione del modello spagnolo con il quale il contribuente s’impegna per la percentuale effettiva della propria imposta che, nel caso in cui non venga espressa alcuna preferenza, resta a disposizione dello Stato.

 

La Corte dei Conti boccia per l’ennesima volta la gestione dell’8 per mille, è la seconda volta in meno di un anno. L’elenco delle criticità messe nero su bianco dalla magistratura contabile è lungo: si va dallo scarso e opaco equilibrio del meccanismo fino alla poca trasparenza sulla destinazione dei contributi destinati alle confessioni passati da 209 milioni, nel 1990, ad oltre 1,1 miliardi, nel 2014. Nel mirino anche lo “scarso interesse” dello Stato per la quota di propria competenza “essendo l’unico competitore che non sensibilizza l’opinione pubblica sulle proprie attività e che non promuove i propri progetti”.

 

POCA TRASPARENZA – Per i giudici il meccanismo dell’otto per mille è poco trasparente e favorisce i grandi beneficiari come “Chiesa Cattolica e Stato”. Così le confessioni escluse vengono “discriminate” e i meccanismi di vigilanza necessari per certificare la corretta destinazione dei fondi non sono sufficienti: “In un periodo di generalizzata riduzione delle spese sociali a causa della congiuntura economica, le contribuzioni a favore delle confessioni continuano a incrementarsi, senza che lo Stato abbia provveduto ad attivare le procedure di revisione di un sistema che diviene sempre più gravoso per l’erario”.
Nonostante i piccoli passi in avanti che hanno portato ad alcune integrazioni sul sito della Presidenza del Consiglio, la corte insiste sulla mancanza di un rapporto più dettagliato su come sono utilizzati questi soldi e sull’abuso delle campagne pubblicitarie per promuovere la raccolta dell’8 per mille. L’eccesso di spot, ricorda la relazione “rischia di distogliere fondi da finalità proprie”.

 

POCHI CONTROLLI – “Non esistono verifiche di natura amministrativa sull’utilizzo dei fondi erogati alle confessioni, nonostante i dubbi sollevati dalla parte governativa della Commissione paritetica Italia-Cei su alcune poste e sulla ancora non soddisfacente quantità di risorse destinate agli interventi caritativi” continua la relazione dei giudici. Le cifre che riguardano il caso non sono esigue: la Cei ha incassato nel 2014 1.054.310.702 di euro, di cui 388.251.190 stati utilizzati per il sostentamento del clero, 433.321.320,67 per le esigenze di culto e 245.000.000 per gli interventi caritativi.
I bilanci devono passare dal ministero dell’Interno a quello del Tesoro. Ma da una verifica per i giudici è emerso che “i dati non sono mai arrivati agli uffici che dovevano trattare la materia”. Proprio per questo è partita una sollecitazione al ministero per individuare con certezza le persone cui inviare i rendiconti.
Nel report dei giudici contabili si legge che l’assenza di monitoraggio ha causato una serie di errori nell’elaborazione dei dati. Dalle 4.968 schede analizzate è emerso che nell’1,67% dei casi la trasmissione delle scelte non era conforme alla volontà espressa dai contribuenti, mentre nel 5,35% le schede non sono state conservate. Complessivamente il 65% delle dichiarazioni erronee sono state a favore della Chiesa cattolica.

 

ALLO STATO NON INTERESSA – Poi c’è un altro problema, che riguarda lo Stato: il disinteresse a incentivare i cittadini per destinare il otto per mille dà l’impressione “che l’istituto sia finalizzato – più che a perseguire lo scopo dichiarato – a fare da apparente contrappeso al sistema di finanziamento diretto delle confessioni”. La magistratura contabile sollecita “approfondimenti sulla attività intrapresa dall’Agenzia delle entrate per il monitoraggio sugli intermediari” ma dà atto del “miglioramento nella divulgazione dei dati da parte delle amministrazioni coinvolte e constata un ulteriore rallentamento nell’attribuzione delle risorse di competenza statale” che nel caso del 2015 hanno visto un ritardo di oltre otto mesi.

 

IL MODELLO SPAGNOLO – Infine la magistratura contabile osserva che se l’Italia adottasse il modello spagnolo la Chiesa incasserebbe la metà dei fondi attuali, e ciò “comporterebbe, per la fiscalità generale, un minor esborso annuo per oltre seicento milioni di euro”. In Spagna “la asignación tributaria prevede la possibilità di attribuire il 7 per mille dell’imposta sul reddito alla Chiesa cattolica”. Tuttavia la normativa è “assai meno favorevole rispetto al sistema italiano. Infatti il contribuente s’impegna per la percentuale effettiva della propria imposta che, nel caso in cui non venga espressa alcuna preferenza, resta a disposizione dello Stato. Inoltre, l’importo può essere destinato ad altri specifici fini sociali”.

 

Vedi la ripartizione delle risorse statali del 2015

 

 


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