Il panorama del finanziamento dello sviluppo è cambiato notevolmente negli ultimi dieci anni. Al centro delle iniziative di sviluppo globali e nazionali, sia per i governi e gli organismi internazionali, le fonti di finanziamento privato hanno progressivamente preso il posto dell’aiuto pubblico allo sviluppo. Questo è stato particolarmente evidente nel periodo precedente la terza Conferenza Internazionale sul finanziamento dello sviluppo, che ha avuto luogo a luglio scorso ad Addis Abeba. Da allora è sempre più chiaro che le fonti private di finanziamento continueranno ad essere in primo piano nelle discussioni intorno agli SDGs (obiettivi di sviluppo sostenibile). Ci troviamo oggi davanti a una crescente necessità di mobilitare tutti i tipi di risorse finanziarie disponibili per sconfiggere la povertà, così come alla crescente pressione dei donatori di collegare i loro interessi commerciali con le politiche di sviluppo. Nonostante le risorse finanziarie private interne ai paesi donatori siano ingenti, e forse più adatte a sviluppare investimenti nei paesi in via di sviluppo, molta attenzione è invece concentrata sulla finanza internazionale.
Uno sguardo al quadro complessivo: rischi e benefici della finanza privata
Senza dubbio i flussi di capitali privati esteri possono contribuire a promuovere una crescita economica sostenibile e hanno la capacità di creare posti di lavoro dignitosi, facilitare il trasferimento di tecnologia e generare risorse interne attraverso la tassazione. Ma questi flussi si portano dietro anche rischi significativi che devono essere gestiti con attenzione. Come recentemente illustrato in un rapporto di Eurodad “Finanziamento per lo sviluppo: le sfide principali per i responsabili politici”, il contributo di questi flussi allo sviluppo sostenibile merita un’analisi dettagliata. Gli impatti occupazionali degli investimenti esteri possono variare notevolmente. Per esempio le industrie estrattive, che dominano i flussi di capitali esteri in molti paesi in via di sviluppo, impiegano relativamente poche persone, nonostante i grandi investimenti. Secondo una recente presentazione ECDPM, i capitali dietro alle industrie estrattive rappresentano tra il 60 e il 90% degli investimenti esteri diretti nei paesi a basso reddito, ma generano solo l’1-2% dell’occupazione totale. Il settore dell’estrazione di risorse può anche avere enormi impatti sociali, ambientali e sui diritti umani, e può peggiorare i dati macroeconomici. Ad esempio, le economie che diventano dipendenti da un ridotto numero di merci sono altamente vulnerabili alle variazioni dei prezzi delle materie prime. Per non parlare delle tasse, i paesi in via di sviluppo stanno guadagnando molto meno in tasse di quanto potrebbero fare, in parte a causa di offerte fiscali speciali che le multinazionali negoziano prima di investire. Gli investitori stranieri spesso fanno pressione sui governi nazionali per introdurre condizioni a loro favorevoli comprese le esenzioni fiscali sul lavoro, normative sociali ed ambientali, che possono avere impatti dannosi sia direttamente sia attraverso la concorrenza sleale con gli attori del settore privato nazionale, in particolare le piccole e medie imprese locali. Ad esempio, estrapolando i dati di 16 paesi da un rapporto di ricerca condotto da ActionAid International, si evince che “oltre 138 miliardi di dollari verrebbero regalati dai governi ogni anno alle corporations sotto forma di sconti fiscali”.
Purtroppo, il dibattito politico internazionale sul finanziamento dello sviluppo oggi ragiona solo su come il capitale privato internazionale possa avere un “effetto leva” per i flussi verso i paesi in via di sviluppo, anche se i meccanismi tutt’oggi esistenti non hanno uno storico di efficacia ed efficienza. Ad esempio, un recente studio effettuato per il Parlamento europeo, dettaglia quanto limitati siano stati ad oggi gli sforzi per incentivare e sovvenzionare il flusso di capitali privati verso i paesi in via di sviluppo. Questi i principali limiti individuati:
- Difficoltà nella progettazione di programmi che lavorino a sostegno delle medie, piccole e micro imprese nei paesi a basso reddito;
- Scarso successo nel generare investimenti “aggiuntivi” del settore privato, con valutazioni esterne che dimostrano che molti investimenti sostenuti con fondi pubblici abbiano sostituito o soppiantato gli investimenti privati puri;
- Inesistente dimostrazione del funzionamento dei meccanismi di incentivazione degli investimenti privati nei paesi in via di sviluppo;
- Basso livello di ownership dei paesi in via di sviluppo sui programmi e le istituzioni finanziarie per lo sviluppo;
- Problemi significativi nel fornire un’adeguata trasparenza e accountability;
- Aumento dei rischi sul debito, e finanziamenti molto costosi.
- Pertanto è chiaro che la questione critica è la qualità dei flussi privati e la loro capacità di contribuire realmente allo sviluppo, più che la loro quantità.
Un altro strumento controverso: le Partnership Pubblico-Privato
Un’altra parola chiave dell’agenda globale per lo sviluppo è PPP (Partenariati Pubblico-Privato), questa si è guadagnata un posto di rilievo nel finanziamento per l’agenda dello sviluppo e continuerà ad essere onnipresente nelle discussioni sul post 2015. Le PPP sono accordi attraverso le quali i finanziatori privati sostituiscono essenzialmente i governi come fornitori e finanziatori di servizi pubblici tradizionali, come scuole, ospedali, acqua, strade ed elettricità. Negli ultimi dieci anni, il loro utilizzo nei paesi in via di sviluppo è aumentato notevolmente; attualmente istituzioni europee, i governi donatori e le istituzioni finanziarie, come la UE, il Regno Unito, la Banca mondiale e la Banca europea per gli investimenti, stanno promuovendo molteplici iniziative per fornire consulenze e finanziamenti a progetti di PPP. I fautori delle PPP sostengono che queste consentano la partecipazione del settore privato che ha la capacità di fornire investimenti di qualità nel settore delle infrastrutture e ridurre la necessità per lo Stato di raccogliere fondi in anticipo, aumentando così la probabilità di ottenere più investimenti per i servizi pubblici tanto necessari per le popolazioni locali. La recente analisi di Eurodad mostra che anche le PPP possono essere molto problematiche:
- Le PPP sono di solito il metodo più costoso di realizzare progetti di sviluppo. Nel 2015 il National Audit Office del Regno Unito ha dimostrato che il costo del finanziamento di un progetto con PPP può essere due volte più costoso per le casse pubbliche, che se il governo avesse preso fondi in prestito da banche private o emesso direttamente obbligazioni;
- Le PPP possono rappresentare un rischio enorme per il settore pubblico. Ne è un esempio il caso dell’ospedale Regina Mamohato Memorial in Lesotho, uno dei paesi più poveri del mondo. Anche se la Banca Mondiale riporta alcuni risultati soddisfacenti, la realtà è che l’ospedale assorbe più della metà del bilancio sanitario del paese, garantendo un ritorno del 25% al fornitore del settore privato. Questo ha dirottato fondi pubblici tanto necessari ad altri ospedali rurali, dove vivono i tre quarti degli abitanti del paese. Il governo è bloccato in questo accordo di PPP fino al 2027;
- Le PPP sono in genere molto complesse da negoziare e attuare e spesso necessitano di rinegoziazioni, che comportano costi importanti per il settore pubblico. Secondo il personale del FMI, il 55% di tutte le PPP sono state rinegoziate in media ogni due anni, con un relativo aumento delle tariffe del 62% dopo la rinegoziazione;
- Le PPP soffrono di scarsa trasparenza e limitato controllo pubblico, che mina la possibilità di effettuare un controllo democratico e offre maggiori opportunità per la corruzione.
Cosa ci aspetta
Dopo un lungo e conflittuale processo di preparazione, l’accordo sul finanziamento per lo sviluppo dell’agenda post 2015 è stato siglato a metà luglio al vertice di Addis. Questo comprenderà le modalità di attuazione degli SDGs. Gran parte del dibattito si è concentrato su come sviluppare un “effetto leva” al flusso di capitale privato internazionale verso i paesi in via di sviluppo attraverso le istituzioni pubbliche e i finanziamenti pubblici, anche se non sono state identificate linee guida credibili per la responsabilità finanziaria, sociale e ambientale della finanza privata.
Le questioni fondamentali sono state quindi rimandate al processo di follow-up della conferenza di Addis Abeba. Ora, sarebbe meglio concentrare l’attenzione sulle misure necessarie per aiutare i paesi in via di sviluppo a ridurre i rischi e gestire gli investimenti esteri per massimizzare il loro potenziale di sviluppo. Ciò significa rimuovere gli ostacoli presenti negli accordi commerciali e d’investimento che impediscono ai paesi in via di sviluppo la gestione del flussi di capitali privati per ridurne i rischi, e abbracciare una nuova iniziativa internazionale che fissi standard alla “finanza responsabile” con forti meccanismi di attuazione.
di Maria Romero – Responsabile Policy e Advocacy di Eurodad (liberamente tradotto dala redazione)