Mai come in questo periodo si registra una vera e propria “emorragia” d’italiani, specialmente giovani, che decidono di espatriare per motivi di lavoro o, comunque, per costruirsi prospettive di vita che in Italia paiono ormai latitare. A questo folto gruppo di persone si aggiungono quelli che, già da tempo, fanno del viaggiare e dello spostarsi di paese in paese il loro lavoro. Ma trasferirsi all’estero per vivere e per lavorare, specialmente in paesi di cultura non occidentale, richiede il superamento di un gap culturale non indifferente che, se non opportunamente compreso e metabolizzato, può rendere l’esperienza frustrante e problematica. A tutte queste persone è dedicato un piccolo manuale – “Espatriati” – che raccoglie e sistematizza, alla luce di costrutti psicologici e sociologici, esperienze di vita e di lavoro in paesi stranieri, in particolare, ma non solo, in “paesi difficili”, cioè in “Paesi in via di sviluppo”, destinatari di progetti di cooperazione internazionale.
Il manuale parte dall’inizio, cioè dalle motivazioni che spingono una persona a trasferirsi in un paese straniero. Non sempre, e non solo, per lavoro o per denaro. Può esserci una componente inconscia più sottile, una proiezione, una idealizzazione del paese di destinazione, quasi che esso rivestisse una funziona salvifica.
Di fronte ad un occidente ormai iper-tecnolocizzato, cinico ed arido, alcuni paesi, in particolare “non occidentali”, possono apparire come un “nuovo Eden”, un luogo abitato da “buoni selvaggi” (e ci si riferisce al “mito” di Rousseau) in cui ricominciare, in cui ristabilire rapporti umani semplici, immediati e autentici. Insomma, paesi in cui rinascere e rimettersi in gioco.
Ma eccoci ora giunti a destinazione: un’abitazione, un lavoro, tempo libero, nuovi incontri, nuove possibilità per conoscersi.
Man mano che il tempo trascorre, eventi e situazioni che davamo per scontati nella loro naturalezza e presunta ovvietà si mostrano sotto un diverso aspetto.
Al di fuori degli aeroporti e dei centri commerciali – i “non luoghi” per eccellenza della globalizzazione – la pulizia, ad esempio, lascia molto a desiderare e l’ambiente urbano, con l’affastellarsi disordinato di strutture, stordisce e spiazza.
Relazionarsi con i locali risulta spesso frustrante dovendo fronteggiare lentezze esasperanti ed incomprensibili, comportamenti contradditori, tentativi di manipolazione, a volte inspiegabile freddezza a volte eccessiva e sospetta “vischiosità”.
Si nota ben presto che il pensiero funziona diversamente, non solo nelle “cose pensate” ma anche, a un livello più meta-cognitivo, nel “modo di pensare”.
E poi gli stereotipi, sempre in agguato, nel bene e nel male: “popolo di lavoratori”, “paese di fannulloni”, “sono tutti ladri”, “popolo ingenuo”. In alcuni paesi poi, la povertà, a volte estrema, è di casa e stride con la ricchezza ostentata da un ristretto numero di persone e questo può creare non poco sconcerto nell’espatriato, abituato a contesti socio-economici più omogenei.
A meno di non asserragliarsi in albergo o in casa , è necessario scendere a patti con la nuova realtà in cui si è immersi e per farlo occorre capire, comprendere poi e successivamente ristrutturare il proprio “campo interpretativo”.
A tal proposito, “Espatriati” si propone come un semplice contributo esperienziale per aiutare a capire “perché” certi fenomeni (quelli prima accennati) accadano, interpretando i suddetti fenomeni alla luce di costrutti psicologici e sociologici al fine di inquadrarli concettualmente, fornirne una spiegazione e favorirne una comprensione.
Spetterà poi al lettore, grazie alla propria sensibilità, alla propria scala valoriale e alla propria esperienza personale, ristrutturare conseguentemente i propri paradigmi interpretativi sintonizzandoli sulla cultura del paese ospite.
Il lavoro è anche un “work in progress” nel senso che, ovviamente, non si pone carattere di esaustività per cui può essere spunto per successive riflessioni ed elaborazioni da parte di altre persone in grado di evidenziare altri aspetti della vita dell’espatriato, secondo altri vertici osservativi.
Infine, Espatriati si propone anche come uno strumento per comprendere il comportamento degli stranieri in Italia dal momento che lo straniero in Italia è portatore di una cultura “altra” ed il suo adattamento allo nostra cultura è speculare rispetto a quello di un italiano all’estero. Avendo dunque un’idea della cultura della sua area di origine, sarà più facile capire e comprendere certi comportamenti, certi stili di vita che l’immigrato manifesta nel nostro paese.
Espatriati: Psicologia e Formazione oltre l’Occidente
Di Gian Piero Taricco, Marco Castella
Temi trattati: la scelta di lavorare all’estero, modelli culturali, adattamento all’ambiente, identità e ruolo sociale, il pensiero ed il ragionamento, tempi e ritmi, gli stereotipi, le relazioni con i locali, i bisogni, la povertà, le comunicazioni.