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La Corte dei conti europea boccia il Trust Fund Africa

In una relazione pubblicata mercoledì scorso, la Corte dei conti europea (ECA) ha ribadito e rincarato le sue critiche al Fondo fiduciario di emergenza per l’Africa (EU Emergency Trust Fund for Africa), lo strumento lanciato nel 2015 durante il Summit di La Valletta per affrontare le cause alla base delle crisi umanitarie nelle regioni del Sahel e del lago Ciad, nel Corno d’Africa e in Nord Africa e della conseguente migrazione irregolare. Dal suo lancio nel 2015, il fondo fiduciario ha finanziato progetti in 27 paesi con 4,4 miliardi di euro provenienti dal bilancio dell’UE, ai quali si sono aggiunte risorse dai governi nazionali, tra cui Svizzera, Italia, Norvegia e Regno Unito.

È la seconda e definitiva relazione dell’ECA che già nel 2018 aveva constatato diversi punti deboli nell’attuazione del fondo e importanti ritardi nell’implementazione dei progetti e aveva formulato nei confronti della Commissione alcune raccomandazioni per la gestione futura del fondo.

Oggi, quasi nove anni dopo che il piano fu annunciato al vertice di alto profilo a La Valletta, l’organismo di controllo della spesa dell’Unione ha certificato che i 5 miliardi di euro spesi per arginare lo spostamento di massa di persone dall’Africa all’Europa non sono stati spesi efficacemente e che esiste un rischio molto concreto che gli autori di violazioni dei diritti umani abbiano tratto vantaggio dai soldi europei.

Formulata nel linguaggio cauto dei revisori, la relazione dell’ECA è una critica devastante di una delle politiche di punta dell’UE, in un momento in cui la gestione delle migrazioni rimane in cima all’agenda politica europea senza una soluzione. Il fondo fiduciario, hanno affermato i revisori, “non è stato adeguatamente focalizzato sulle priorità” e troppo diffuso per essere efficace e “i rischi per i diritti umani non sono affrontati correttamente”. I progetti esaminati della Corte hanno sì risposto ad alcune necessità, ma non a quelle più urgenti. L’analisi va più in profondità: “Gli indicatori utilizzati per monitorare i risultati non mostrano se i progetti siano sostenibili o se abbiano contribuito ad affrontare le cause profonde dell’instabilità, della migrazione irregolare e degli sfollamenti”. La conseguenza è che la Commissione non è ancora in grado di indicare gli approcci più efficaci.

Tra le attività non sostenibili, difficili da attuare o non prioritarie, la Corte ha riscontrato alcuni esempi emblematici. La ristrutturazione di un tratto di lungomare a Bengasi e del teatro romano di Sabratha, in Libia, ma colpisce soprattutto la fornitura di attrezzature sportive e da cucina per istituti scolastici con urgenti necessità di infrastrutture di base. “Una scuola non collegata alla rete elettrica ha ricevuto un frullatore per completare la formazione sulla preparazione e conservazione degli alimenti”, ha riportato la Corte.

C’è poi il fondamentale nodo dei rischi di violazioni dei diritti umani nei progetti finanziati dall’Ue. “Non sono affrontati con attenzione”, è l’accusa che arriva da Lussemburgo. Le condizioni generali di tutti gli accordi di finanziamento prevedono che l’azione sia sospesa se l’Ue individua una violazione dei diritti umani. Ma “non esistono procedure formali” per la segnalazione e la valutazione di presunte violazioni. E nemmeno “orientamenti pratici” per chiarire in quali situazioni il sostegno dell’Ue possa essere sospeso. I meccanismi messi in campo dalla Ue per monitorare dell’impatto delle attività del Fondo sui diritti umani in Libia non sono stati messi in atto in altri paesi in cui i diritti umani potrebbero essere a rischio. Paesi in cui “la Commissione, gli attuatori dei progetti e gli altri appaltatori hanno incontrato ostacoli simili a quelli incontrati dagli auditor, ad esempio per ottenere accesso a centri di trattenimento per persone migranti e ad altri luoghi che richiedono un’autorizzazione ufficiale”.

Alcune delle conclusioni della Corte riguardano in particolare la Libia, dove l’UE ha un controverso accordo per finanziare la guardia costiera del paese per svolgere operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. I migranti rimpatriati in Libia sono stati trattenuti in centri di detenzione gestiti dal governo dove, secondo i resoconti delle ONG , sono stati sottoposti a torture, violenze sessuali e percosse.

L’ECA ha osservato che le attrezzature finanziate dall’UE in Libia, come le imbarcazioni, potrebbero essere utilizzate da persone “diverse dai beneficiari previsti”, stessa cosa vale per le auto e gli autobus finanziati dall’UE che “potrebbero aver facilitato il trasferimento dei migranti” nei centri di detenzione, “esacerbando il sovraffollamento”. Allo stesso modo, le attrezzature finanziate dall’UE per i centri di detenzione, ha affermato l’ECA, potrebbero essere state vendute o “potrebbero aver potenzialmente beneficiato le organizzazioni criminali”. Il team di audit dell’UE ha visitato la Libia, ma non è stato in grado di visitare un centro di detenzione. Né le autorità libiche hanno potuto dire ai revisori chi fosse responsabile dei centri di detenzione che erano stati chiusi dopo aver beneficiato in precedenza di fondi UE.

Sebbene i fondi siano stati in gran parte spesi, le critiche dell’organismo ufficiale di controllo della spesa dell’UE assumono un peso ancora maggiore dopo i recenti accordi dell’UE con Egitto e Tunisia, volti a fermare la migrazione e a rafforzare la stabilità lungo il confine meridionale dell’Europa.

Scarica il rapporto


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