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Il dilemma umanitario di Gaza

Da martedì mattina gli aerei israeliani hanno iniziato a bombardare Gaza, una dura azione di ritorsione per l’attacco terroristico del fine settimana da parte dei militanti di Hamas che fatto irruzione in Israele uccidendo quasi mille residenti nelle case e nelle strade vicino al confine di Gaza e prendendo in ostaggio più di 150 soldati e civili.

Una pioggia di razzi e ordigni esplosivi sta colpendo Gaza quartiere per quartiere, riducendo decine di edifici in macerie e costringendo le persone a vagare alla ricerca di riparo all’interno del piccolo territorio della Striscia ormai sigillato e sotto assedio. Bloccato ormai da tre giorni l’arrivo di beni essenziali, acqua e cibo, oltre all’elettricità e il carburante ormai esauriti. In molte zone di Gaza la rete telefonica e quella internet sono state interrotte a causa del bombardamento che ha colpito e danneggiato la sede della Palestine Telecommunications company, la principale azienda di servizi di telecomunicazioni della città. 

Secondo l’Unrwa, l’agenzia Onu per i profughi palestinesi, il numero di sfollati interni nella Striscia di Gaza ha già raggiunto quota 190mila persone su una popolazione di poco più di 2 milioni. Di queste, oltre 137mila persone hanno trovato rifugio, ma non la salvezza dalle bombe, nelle 83 scuole gestite dalle Nazioni unite.

“La situazione umanitaria a Gaza era estremamente critica già prima di queste ostilità, ora si deteriorerà esponenzialmente. Materiale medico, cibo, carburante e altri beni sono disperatamente necessari, così come l’accesso al personale umanitario. Gli aiuti e l’ingresso di forniture di base a Gaza devono essere facilitate, e le Nazioni Unite continueranno a compiere ogni sforzo per mettere a disposizione aiuti in risposta a questi bisogni”. Lo ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, dopo una conversazione telefonica con il leader dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas.

WFP ha lanciato un’operazione di emergenza per fornire assistenza alimentare, cibo pronto è stato distribuito a 73.000 persone e distribuzione di trasferimenti in contanti a 164.000 persone attraverso voucher elettronici che possono essere riscattati su prodotti alimentari nei negozi locali, ormai quasi sguarniti di rifornimenti. Ma le operazioni di distribuzione alimentare sono adesso sospese fino a nuovo avviso, con 14 centri di distribuzione chiusi.

Tutto questo in attesa della ricostituzione delle scorte alimentari attraverso l’apertura dei corridoi umanitari, chiesta a gran voce dalle agenzie umanitarie e dalle ONG attive sul territorio. Corridoi indispensabili anche per gli ospedali, sopraffatti dai feriti, che necessitano di farmaci e forniture sanitarie oltre che l’evacuazione dei feriti più gravi. Secondo il Comitato internazionale della Croce Rossa (ICRC) infatti, l’assedio a Gaza e l’interruzione della fornitura di acqua, combustibile ed energia potrebbe straformare in pochi giorni gli ospedali in obitori.

L’urgenza di aprire varchi per i civili è ancora più rilevante alla luce dell’ordine che l’esercito israeliano ha diffuso questa mattina di “ricollocare” circa 1,1 milioni di residenti dal nord della Striscia di Gaza al sud entro 24 ore in vista di un attacco terrestre. Le Nazioni Unite hanno lanciato un forte appello affinché tale ordine, se confermato, venga annullato” “e ritengono impossibile che un simile movimento abbia luogo senza conseguenze umanitarie devastanti”.

Fino ad ora però nessuna apertura sui corridoi è stata dichiarata sia da Israele che dall’Egitto nonostante le dichiarazioni del portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani che ha bollato l’assedio totale di Gaza come violazione totale del diritto internazionale.

Una situazione che mette di fronte la comunità internazionale al dilemma umanitario più critico degli ultimi decenni. L’adesione unanime del fronte occidentale alla reazione bellica israeliana non può esimere Stati Uniti, Unione europea e i singoli stati dal dovere di aiutare le vittime civili di questo conflitto.

L’obiettivo condivisibile di Israele di eliminare definitivamente Hamas non può trasformarsi in uno sterminio indiscriminato di civili e la comunità internazionale non può rendersi complice di un’azione simile permettendo a Israele di violare il diritto umanitario internazionale, vigente anche in stato di guerra, a cominciare dalla protezione dei civili. Non più tardi di ieri il ministero degli Esteri israeliano ha rifiutato di commentare l’annuncio di Washington di aver avviato colloqui con Tel Aviv e Il Cairo per stabilire un corridoio umanitario sicuro per i civili a Gaza. Nelle ultime ore però, a seguito della visita in Israele del Segretario di Stato americano Blinken, si sta intensificando un’azione diplomatica in questo senso. Sembrerebbe però che anche i militanti di Hamas abbiano preventivamente dichiarato la loro contrarietà all’apertura di corridoi umanitari per evitare esodi di massa della popolazione della Striscia.

Una pressione forte su questi paesi dovrebbe arrivare anche dall’Unione europea che alcuni giorni fa si è spaccata sull’ipotesi di bloccare gli aiuti a Gaza. Un pasticcio che ha messo in evidenza che il fronte occidentale fatica a discernere tra il sostegno politico a Israele e il dovere umanitario nei confronti delle vittime civili, ovunque esse si trovino.


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