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E se facessimo a meno delle valutazioni?

La valutazione è da anni entrata a pieno titolo nelle attività di cooperazione allo sviluppo e sociale. La chiedono tutti: donatori, finanziatori, ma anche gli enti attuatori che ritengono un dovere la valutazione dei progetti. Eppure, nonostante le risorse impiegate spesso la valutazione diventa un esercizio faticoso e residuale nelle attività di progetto. La valutazione, insomma, si “riduce” ad uno studio specifico, sicuramente serio, ma condotto a tappe forzate il cui obiettivo ultimo è la realizzazione di un report.

Il report è però spesso un output, letto da pochi, che nella migliore delle ipotesi, rimane un adempimento formale (un tick nella check list) che riesce forse a stimolare un processo di riflessione e apprendimento nella stretta cerchia valutatore/trice-persone che partecipano al processo, ma che difficilmente raccoglie un forte interesse da parte di chi, il giorno dopo, dovrà assumere nuove decisioni, da chi dovrà impostare nuovi lavori, scrivere nuovi progetti. È difficile vedere un lavoro valutativo che riesce ad entrare nel ciclo di progetto dell’ente, ed è ancora più difficile riscontrare una qualche ricaduta sul terreno (attori coinvolti, beneficiari, ecc.).

Anche rispetto al donatore, il beneficio è relativo o molto circoscritto all’aspetto rendicontativo. È difficile osservare una ricaduta sul ciclo di programma del donatore o, più semplicemente, riscontrare un effettivo interesse a creare una memoria del lavoro svolto. Più facile è osservare un interesse della persona di riferimento (il “desk”) finalizzato a verificare la correttezza del lavoro svolto (una conferma del rapporto rendicontativo dell’ente), che sappia allineare, un po’ burocraticamente, il progetto al programma.

La valutazione insomma, non appare un momento di rilancio dell’azione (e dell’ente). Lo stesso ente valutatore, a volte, è più portato a scandagliare il progetto, oggetto dello studio, alla ricerca di ciò che non funziona, che è migliorabile secondo la propria scala di valore. L’idea, insomma, che il lavoro valutativo trovi la propria legittimazione nel rilevare le incongruenze, gli errori di pianificazione, i limiti. Un approccio che porta a disegnare raccomandazioni molto generali (probabilmente già note in partenza) e poco efficaci (realistiche) per coloro i quali sono chiamati a rilanciare le iniziative.

In sintesi: in questi ultimi 20 anni, la valutazione è entrata a far parte “delle cose che vanno fatte”. Ma stiamo valorizzando al massimo le opportunità del processo di valutazione? È possibile volgere lo sguardo in un’altra direzione partendo dall’utilità della valutazione?

Se si provasse a considerare la valutazione non un lavoro finalizzato alla restituzione di un rapporto, bensì ad un ciclo che si chiude con una “restituzione” e comprensione dei risultati, emergerebbe che il punto chiave (il motore della valutazione) non sarebbe “il rapporto che spiega cosa si è trovato nell’analisi”, bensì “la trasmissione in forme utili di dati, informazioni e progettualità per il futuro” per i partner progetto, il finanziatore, e, in ultima analisi, i beneficiari.

Sono queste le riflessioni che hanno portato Fondazione Punto.sud a organizzare, in collaborazione con ChangeLab, una tavola rotonda dal titolo “E se facessimo a meno delle valutazioni?” che si terrà online il prossimo 27 giugno alle 14.00 all’interno dell’Open Day dell’innovazione 2023.

Un’occasione di discussione e confronto tra addetti ai lavori che coinvolgerà rappresentanti dei principali attori della valutazione, ovvero enti Donatori e finanziatori, enti Attuatori, Valutatori e Academia (Scarica il programma).

Per partecipare è necessario registrarsi all’Open Day dell’innovazione 2023 a questo link. Una volta registrati riceverete un link con il quale potrete seguire le diverse sessioni previste nel programma. Dalle 14.00 alle 15.30 con lo stesso link potrete seguire il panel “E se facessimo a meno delle valutazioni?”.


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