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L’impatto del Covid-19 sulla sicurezza alimentare tra stime e dati reali

Dopo aver paralizzato per molti mesi i paesi europei e del cosiddetto nord del mondo la pandemia da COVID-19 sta colpendo pesantemente diversi paesi del sud, oggi infatti gran parte dell’America Latina sta affrontando una fase critica. L’effetto economico della pandemia invece si sta facendo sentire in tutti i paesi a prescindere dalla fase del contagio e le comunità più fragili ne stanno pagando le conseguenze più pesanti. Le misure di contenimento e di distanziamento sociale adottate dai governi per rallentare la diffusione del virus hanno infatti causato un’importante contrazione delle attività economiche e in particolare della produzione manifatturiera, un rallentamento dei commerci e una generalizzata riduzione dei consumi. La vita e il sostentamento di milioni di persone – specialmente quelle che vivono in paesi già colpiti da una crisi umanitaria – sono (e saranno) gravemente colpiti.

In questa fase a livello internazionale si sta cercando di misurare l’impatto della pandemia su questi gruppi vulnerabili anche al fine di programmare interventi efficaci e indirizzare l’aiuto allo sviluppo e i fondi che la comunità internazionale ha mobilitato da marzo ad oggi soprattutto a livello multilaterale. E’ di poche settimane fa la pubblicazione di un Rapporto delle Nazioni Unite, che mette insieme i dati disponibili ad oggi e le stime dell’impatto del COVID-19 su sicurezza alimentare e alimentazione, con conseguenti effetti su scuole, famiglie, bambini e lavoratori su scala globale.

La pandemia è descritta come una crisi umanitaria e sanitaria che minaccia la sicurezza alimentare e la nutrizione di milioni di persone in tutto il mondo. Secondo questo rapporto c’è il rischio che sul lungo termine, le misure di mitigazione e la recessione globale emergente potrebbe, senza un’azione coordinata su larga scala, interrompere il funzionamento dei sistemi alimentari che garantiscono il cibo a milioni di persone.

Prima dell’emergenza, più di 820 milioni di persone erano già state identificate insicure dal punto di vista alimentare. Gli ultimi dati mostrano che 135 milioni di persone vivono in uno stato di emergenza per quanto riguarda la sicurezza alimentare semplicemente a causa delle misure restrittive si movimenti di persone. Il rapporto mette in evidenza la vulnerabilità di diverse categorie:

  • 368 milioni di scolari che non ricevono il pasto a scuola che per la maggior parte dei bambini risulta essere il principale apporto di fabbisogno energetico e nutrizionale quotidiano;
  • Persone che ricevono servizi di assistenza nutrizionale, come donne e bambini nei primi mille giorni dal concepimento, malati, anziani e persone con bisogni speciali;
  • Bambini separati dalle madri o dai tutori per qualsiasi motivo;
  • Le perdite di posti di lavoro e di reddito incidono sull’abilità dei 200 milioni di lavoratori migranti in oltre 40 Paesi che inviano rimesse alle loro famiglie (800 milioni di persone in 125 Paesi). Le rimesse in tutto il mondo sono dovrebbe diminuire del 20% nel 2020 – ciò si traduce in un calo di 110 miliardi di dollari in risorse disponibili per cibo e altre necessità;
  • 490 milioni di persone che vivono in Paesi colpiti da conflitti;
  • 70 milioni di rifugiati, sfollati e richiedenti asilo in tutto il mondo che potrebbero non essere considerati a causa di politiche statali, mancanza di documentazione adeguata o che non hanno accesso a lavori e ad attività;
  • I poveri delle città, le cui qualità dietetiche e le condizioni di vita sono ulteriormente degradate.

La pandemia ha colpito oltre 2 miliardi di piccoli produttori, braccianti agricoli, contadini e le loro famiglie che rappresentano. Le donne, in media, rappresentano il 43% della forza lavoro agricola in Paesi in via di sviluppo e rappresentano come stima i due terzi dei 600 milioni di poveri del mondo.

In questo quadro, i governi e gli attori del settore umanitari e della cooperazione concordano sul fatto che, nei prossimi 12/18 mesi, una delle componenti chiave della risposta alla pandemia sarà quella socio-economica. Sul campo le organizzazioni presenti, in particolare le ONG, sono fin dal primo giorno alle prese con la prevenzione della pandemia ed oggi stanno cercando di valutare quale sarà l’impatto sul medio e lungo periodo. In questo senso si sta muovendo anche la ONG COOPI che ha recentemente messo in campo una raccolta dati per valutare nel dettaglio l’entità di questo impatto.

Si tratta di uno studio sull’impatto della pandemia su “Sicurezza alimentare e mezzi di sussistenza” che verrà effettuato in comunità campione in 9 paesi dove opera COOPI: RD Congo, Niger, Mali, Nigeria, Etiopia, Iraq, Bolivia, Ecuador e Guatemala, paesi che per la maggior parte sono considerati una priorità dal Global Humanitarian Response Plan (GHRP) in quanto classificati a rischio.

L’obiettivo è comprendere meglio le implicazioni della crisi COVID-19 sulla sicurezza alimentare (in particolare nelle dimensioni di accesso e consumo del cibo) e sulle attività generatrici di reddito, al fine di elaborare interventi rilevanti per supportare quelle comunità a mantenere i loro mezzi di sussistenza, contribuendo alla loro ripresa e al loro sviluppo economico sul lungo termine.

Un questionario adottato per la raccolta dati e ispirato al lavoro del Global Security Cluster (GFSC) sarà sottoposto più volte agli stessi rispondenti per catturare i cambiamenti nel tempo per quanto riguarda accesso e consumo del cibo e reddito. Considerando l’imprevedibilità della situazione per quanto riguarda l’evoluzione del COVID-19, lo studio avrà una durata iniziale di 3 mesi e i sondaggi saranno gestiti principalmente per telefono. Il questionario è strutturato in modo da consentire di indagare sia sulla situazione attuale che su quella prima della pandemia. In media verranno condotte circa 200-250 interviste in ciascun paese. La raccolta dati avverrà attraverso l’utilizzo di KoBo Toolbox, strumento open source che può essere usato sia su dispositivi mobili che su desktop.

Scarica l’assessment di COOPI


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