Ci siamo più volte occupati della problematica suddivisione dei ruoli tra DGCS e Agenzia (AICS) come principale ostacolo alla piena realizzazione della legge 125 sulla Cooperazione. Un braccio di ferro che ha preso forma ancora pochi mesi fa con la nomina del nuovo direttore Luca Maestripieri, già vice direttore in casa DGCS. Il timore di molti è che in qualche modo l’autonomia dell’Agenzia fosse messa a rischio a scapito di una cooperazione sempre più braccio operativo del Ministero degli Esteri.
Ma la confusione di ruoli e la sovrapposizione di politiche e azioni palesemente incoerenti non sarà più solo un problema della Farnesina. All’orizzonte comincia a prendere forma un nuovo asse che gestirebbe una fetta importante delle risorse della Cooperazione (cioè una fetta di APS) composto dal Ministero dell’Interno e dal MISE. E’ proprio nel Viminale di Matteo Salvini che sta prendendo forma quello che all’inizio era denominato piano Marshall per l’Africa (vi ricorda qualcosa?) ma che ultimamente è stato chiamato Fondo sovrano italiano per l’Africa.
A denominarlo così è il suo architetto, il noto sondaggista Alessandro Amadori, oggi consulente del vicepremier con l’incarico specifico di occuparsi di Africa. Sul piatto ci sono 500 milioni con i quali Salvini sembra intenzionato a sperimentarsi nel ruolo di vicepremier acting ministro degli Esteri e della Cooperazione. Si tratta effettivamente di fondi allocati presso il Ministero degli Interni e normalmente destinati all’accoglienza dei rifugiati e già contabilizzati come Aiuto Pubblico allo Sviluppo. A seguito della drastica riduzione degli arrivi di migranti in Italia già la legge di bilancio già indica che una parte rilevante dei fondi destinati all’accoglienza non saranno spesi.
E’ su questo portafoglio che Amadori sta costruendo l’idea del Fondo sovrano per l’Africa consapevole del fatto che nel primo anno di Governo giallo-verde questo risparmio sui fondi per l’accoglienza sarebbero dovuti essere prioritariamente destinati ad altre promesse elettorali. In particolare alla sicurezza.
In alcune recenti interviste rilasciate a Vita.it e Affaritaliani.it emergono alcuni dettagli su questo strumento finanziario che dovrebbe essere operativo a partire dal 2020 e che sarebbe frutto di una “nuova filosofia di base che è servita per riconcettualizzare la cooperazione internazionale”. Una filosofia che Salvini e Amadori hanno appreso in occasione di una missione in Ghana nel novembre del 2018 dove “abbiamo incontrato il presidente Nana Akufo-Addo – dice Amadori – che ci ha parlato della sua visione del Paese e di come avesse impostato la campagna elettorale puntando sul concetto di Ghana beyond aid”.
Una riconcettualizzazione della cooperazione dettagliata in un documento di bozza che decreta il fallimento della Cooperazione allo Sviluppo e identifica l’esempio da seguire nel modello cinese, sia sul fronte della sua politica di sfruttamento dell’Africa sia sul fronte domestico in termini di controllo demografico e creazione della classe media. Oltre l’aiuto quindi è il nuovo mantra che si sostanzierebbe in tre nuove priorità per la cooperazione italiana del futuro: l’emancipazione femminile, la pianificazione familiare e la gestione controllata delle migrazioni.
Un modello che secondo Amadori l’Italia e il Ghana già stanno costruendo assieme da diversi mesi (chi ?? come??) “Attivando partnership in cui il valore è co-costruito assieme, fianco a fianco, non più solo “aiuto”, bensì progettualità condivisa. Lavorando sia sul fronte interno (la società ghanese) sia su quello esterno (i ghanesi nel mondo): per fare il solo esempio dell’Italia, nel nostro territorio risiedono stabilmente e pacificamente oltre 60.000 persone provenienti da quel paese. Questa diaspora va mobilitata e coinvolta – continua Amadori – per costruire un ponte sociale, culturale ed economico fra le nostre economie e le nostre società. Non a caso, il governo ha promosso costituzione di una associazione bilaterale di amicizia fra Italia e Ghana, per concretezza sociale e culturale al nuovo spirito di collaborazione fra le due nazioni. Oltre, naturalmente, a una serie di investimenti infrastrutturali e produttivi (dell’ordine di grandezza di alcuni miliardi di Euro), ma anche formativi e socio-culturali. Il Ghana è solo un primo paese, e le iniziative accennate solo un primo, piccolo passo”.
Il Ghana quindi si scopre essere una priorità della nostra cooperazione oltre che un laboratorio di sperimentazione di un nuovo modello di cooperazione al quale si darà seguito con lo strumento del Fondo sovrano italiano per l’Africa. Il tutto in barba alla governance che faticosamente si sta cercando di costruire da cinque anni dopo la riforma del settore con la legge 125.
DGCS, Agenzia, Vice Ministro con delega alla Cooperazione, Consiglio Nazionale per la Cooperazione, Comitato Congiunto? Nulla di tutto ciò è stato in qualche modo elaborato e/o discusso con gli organi e le figure istituzionali preposte. Il rischio è che il fondo diventi una sorta di “Cooperazione del Ministero dell’Interno”, una macchina parallela che potrebbe creare ulteriore incoerenza delle politiche e inefficienza a livello operativo e forse pregiudicare per sempre lo sviluppo e il consolidamento dell’Agenzia stessa.
LEGGI la replica di Alessandro Amadori