Mentre l’ordine esecutivo sulla chiusura di USAID continua a provocare scompiglio nel mondo della cooperazione e dell’aiuto umanitario, l’amministrazione americana ha avviato una vera e propria campagna di sabotaggio dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite annunciando di interrompere il supporto agli SDGs, rifiutandosi di riconoscere il programma globale per lo sviluppo sostenibile adottato all’unanimità nel 2015. La decisione statunitense giunge in un momento critico, in cui le Nazioni Unite stimano un deficit di finanziamento di 4 trilioni di dollari per il raggiungimento degli SDGs entro il 2030.
L’annuncio è stato fatto da Edward Heartney, Consigliere per gli Affari Economici e Sociali (ECOSOC) della Missione USA all’ONU, durante la recente assemblea generale in cui si votava la creazione di una Giornata Internazionale della Coesistenza Pacifica, che includeva un riferimento agli SDGs. Secondo Heartney, gli SDGs rappresentano una forma di “soft global governance” incompatibile con la sovranità statunitense, in quanto pervadono ideologie su genere e clima che l’attuale amministrazione non intende sostenere.
La rottura degli USA con l’Agenda 2030
Il discorso di Heartney ha segnato un punto di svolta nelle relazioni tra gli Stati Uniti e la comunità internazionale in materia di sviluppo sostenibile. Le sue parole sono state inequivocabili: “Semplicemente, iniziative globaliste come l’Agenda 2030 e gli SDGs sono state sconfitte alle urne. Pertanto, gli Stati Uniti rifiutano e denunciano l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e non la riaffermeranno più come questione di principio.” Questa dichiarazione si inserisce in un contesto più ampio di disimpegno dell’amministrazione Trump da accordi e iniziative internazionali non solo in tema di sostenibilità. Nel corso della stessa Assemblea Generale, Washington ha votato contro diverse risoluzioni chiave, allineandosi unicamente a Israele e Argentina nel respingere il riconoscimento degli obiettivi dell’Agenda 2030. Tra le altre decisioni contestate dagli USA:
- Voto contrario alla risoluzione “International Day of Peaceful Coexistence”, che ribadiva l’impegno per società pacifiche e inclusive.
- Bocciatura dell’International Day of Hope e dell’International Day for Judicial Well-Being, con la motivazione che esistono già altre giornate dedicate a temi simili.
- Rifiuto della risoluzione “Education for Democracy”, che sottolineava il diritto universale all’istruzione e l’importanza delle pari opportunità per i giovani.
In particolare, Heartney ha affermato che molte di queste risoluzioni contenevano riferimenti a diversità, equità e inclusione (DEI), concetti che la nuova amministrazione vuole eliminare, sostenendo che essi promuovano discriminazione anziché uguaglianza.
Un’America sempre più isolata
La posizione degli Stati Uniti si inserisce in una politica di isolamento crescente rispetto alle iniziative globali. Un esempio eclatante si era già verificato lo scorso 24 febbraio, quando Washington ha votato contro una risoluzione dell’ONU a sostegno della pace in Ucraina, proposta da Kiev e dall’Unione Europea. Nel tentativo di imporre la propria visione, gli Stati Uniti hanno avanzato un testo alternativo che non menzionava la Russia come aggressore. Tuttavia, l’Assemblea Generale ha modificato il documento, includendo il riferimento all’invasione russa. Alla fine, con il suo testo modificato, Washington ha preferito astenersi dal voto, suscitando critiche da parte dei suoi alleati.
L’attacco americano sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile rappresenta l’ennesimo passaggio della nuova politica internazionale degli States. Il rifiuto dell’Agenda 2030 da parte della maggiore potenza economica mondiale non solo crea un potenziale vuoto finanziario, ma mina la credibilità di un progetto globale che richiede il coinvolgimento di tutti i paesi per avere successo.