In tutto il mondo, le agenzie umanitarie sono alle prese con una carenza di finanziamenti in un momento in cui i bisogni umanitari sono in forte aumento. Nel 2023, l’ONU ha lanciato un appello per la cifra record di 51,5 miliardi di dollari per aiutare 339 milioni di persone, la cifra più alta mai raggiunta. Finora ha ricevuto solo il 38,6% dei fondi richiesti. Si tratta del peggior deficit di finanziamento che il sistema umanitario abbia mai dovuto affrontare: tra il 2016 e il 2022 gli appelli delle Nazioni Unite sono stati finanziati in media per il 58%. Durante questo periodo, i fondi forniti alle Nazioni Unite per le operazioni di soccorso sono aumentati costantemente, ma l’anno scorso l’importo totale è diminuito per la prima volta, scendendo da 30 miliardi di dollari nel 2022 a poco più di 21 miliardi di dollari nel 2023.
Il costo umano del deficit di finanziamento è illustrato in un recente rapporto delle Nazioni Unite. Il numero di persone che ricevono aiuto alimentare in Afghanistan è sceso da 13 a 3 milioni tra maggio e novembre, mentre nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) 600.000 bambini malnutriti non ricevono cure adeguate. L’anno scorso, la mancanza dei finanziamenti richiesti hanno portato la Somalia devastata dal conflitto sull’orlo della carestia. Nonostante le agenzie umanitarie avessero lanciato l’allarme da più di un anno, hanno ricevuto i fondi necessari per prevenire solo all’ultimo minuto, questo ritardo ha comportato la morte per fame di oltre 43.000 persone. Il WFP è stato costretto a tagliare le razioni di cibo per milioni di persone colpite dalla crisi nello Yemen, in Sud Sudan, in Siria, nella RDC, ad Haiti e altrove.
I conflitti sono di gran lunga il principale motore dell’esplosione dei bisogni umanitari. Non solo c’è stata un’ondata di nuovi conflitti, come quelli in Etiopia, Ucraina, Sudan e Gaza, ma le guerre durano più a lungo. Ciò causa maggiori perturbazioni economiche, infligge maggiori danni alle infrastrutture e richiede risposte di aiuto più lunghe e costose.
A questa instabilità si aggiungono gli effetti della crisi climatica. Negli ultimi anni si sono verificati periodi di siccità nel Corno d’Africa e nel Sahel, mentre le inondazioni hanno devastato il Pakistan, il Sud Sudan e la Libia. Oltre a creare nuove emergenze, le condizioni meteorologiche estreme contribuiscono ad aggravare quelle esistenti: secondo l’IRC, il 70% delle guerre avviene in paesi duramente colpiti dall’emergenza climatica.
Anche le conseguenze economiche del Covid si fanno ancora sentire. Molti paesi con economie fragili come Zambia, Laos e Sri Lanka hanno contratto debiti aggiuntivi per far fronte alla pandemia e ora faticano a pagare i costi per la sanità, l’istruzione e il welfare. Poi c’è l’impennata dei prezzi globali del carburante e dei prodotti alimentari causata dalla guerra in Ucraina, che ha messo a dura prova i bilanci pubblici.
I bisogni umanitari globali non potranno che aumentare. Nel 1999, il sistema degli aiuti umanitari necessitava di finanziamenti per un valore di 1,7 miliardi di dollari. Si prevede che entro il 2027 saranno necessari più di 100 miliardi di dollari. Di conseguenza, gli esperti si chiedono se il sistema umanitario globale non sia solo in difficoltà finanziariamente, ma anche in crisi strutturale.
La comunità umanitaria è divisa su come rispondere alla nuova natura delle crisi umanitarie. Alcuni sostengono che il settore debba “tornare alle origini” e concentrarsi su ciò che sa fare meglio: supporto salvavita a breve termine in caso di emergenza. Mentre la crisi climatica si fa sentire, altri sostengono che il settore umanitario debba svolgere un maggiore lavoro di “resilienza” a lungo termine per aiutare le persone ad affrontare condizioni meteorologiche estreme.
Eppure tutti concordano sul fatto che il sistema debba cambiare. Nel gennaio 2016, un comitato delle Nazioni Unite ha concluso che il settore degli aiuti mancava di trasparenza, era finanziariamente inefficiente e non riusciva a misurare l’impatto del proprio lavoro. Ha inoltre individuato come questione chiave la mancanza di una visione comune tra le agenzie umanitarie e quelle di sviluppo.
Tuttavia, poco è stato fatto per risolvere i problemi e anche l’impegno ad aumentare la percentuale di aiuti forniti alle organizzazioni umanitarie locali dallo 0,4% al 25% entro il 2020 non è stato rispettato. Oggi solo il 3,3% va alle ONG nazionali, nonostante gli studi dimostrino come in alcuni contesti siano più economiche, più agili e più efficienti ed efficaci rispetto alle grandi agenzie internazionali.
è vero. gli aiuti diminuiscono. ma è anche vero che le organizzazioni soprattutto ong nascono come funghi e non sempre con standard qualificanti. non pensate che questo costituisca una dispersione di fondi se questi non fossero elargiti secondo criteri ben definiti di competenza professionalità e soprattutto di corrispondenza degli obiettivi alle necessità? solo una domanda