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Braccio di ferro all’ONU sul Summit del futuro

Al netto della più grande pandemia della storia e della guerra che torna nel cuore dell’Europa dopo oltre 70 anni, alle Nazioni Unite si navigava già da tempo in acque agitate. Il secondo (ed ultimo) mandato del Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres era partito con l’auspicio di riformare le istituzioni multilaterali a partire proprio dal Palazzo di Vetro per rilanciare i principi di pace, tolleranza e democrazia sottoscritti nel 1945, prima di passare il testimone a un nuovo segretario generale necessariamente proveniente da altri continenti. Secondo la regola non scritta dell’alternanza, infatti, il prossimo europeo alla guida dell’ONU non tornerà prima del 2062.

In quest’ottica l’ex primo ministro portoghese Guterres aveva sperato di concludere il 2023 con un vertice dei leader mondiali, il “Summit of the Future” con lo scopo di codificare il progetto per la riforma delle Nazioni Unite, noto formalmente come “Our Common Agenda”, e tracciare la strada per i prossimi 25 anni. Un’occasione (forse l’ultima?) per rilanciare il sistema multilaterale affidandogli nuovi incarichi e competenze per far fronte a sfide globali che finora i singoli governi hanno mal gestito e che possono essere risolte efficacemente solo a livello internazionale. In agenda, oltre alla questione cruciale del peacekeeping mondiale, ci sono temi epocali come la gestione delle pandemie, la gestione del cambiamento climatico e dei disastri “naturali” da esso provocati e la trasformazione digitale, ovvero la governance di Internet, le regole su privacy dei cittadini, protezione dei dati e intelligenza artificiale.

Lo scorso autunno però, gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno deciso di rinviare il vertice a settembre 2024; alcuni governi hanno chiesto più tempo per prendere in considerazione una riforma così importante, mentre una nutrita coalizione di paesi a basso e medio reddito ha chiesto di sospendere il processo per concentrarsi sull’attuazione degli obiettivi di sviluppo in un contesto di forte crisi economica globale come quello attuale. Nonostante questo Guterres ha fatto pressione perché entrambe le agende potessero andare avanti contemporaneamente, ma il cosiddetto Gruppo dei 77 + la Cina, ha chiesto recentemente di interrompere del tutto i preparativi per l’evento del 2024 per il resto dell’anno, enfatizzando la necessità di mantenere un focus esclusivo del vertice del settembre 2023 sugli obiettivi di sviluppo sostenibile.

Una situazione di stallo pericolosa che potrebbe evolvere in un conflitto diplomatico più ampio tra gli Stati membri, soprattutto quelli che cercano di preservare i propri privilegi ed evitare di aprire dibattiti da sempre controversi in sede ONU. Un groviglio di interessi di grandi e piccoli che per vari motivi si oppongono al cambiamento dello status quo, ostacolando i ripetuti tentativi di modernizzare l’organizzazione. Nessuno dichiara esplicitamente che questa sia un’azione ostruzionistica rispetto alla Common Agenda, ma è molto chiaro alla diplomazia internazionale che questo sia un momento geopolitico particolarmente teso, poiché i paesi a basso e medio reddito esprimono un crescente risentimento per quello che vedono come il fallimento dell’Occidente nel mantenere una serie di impegni, incluso il suo impegno a fornire 100 miliardi di dollari all’anno in APS ai paesi a basse emissioni per adattarsi ai cambiamenti climatici. A questo si aggiunge una dinamica di schieramenti trasversali che inevitabilmente il conflitto in Ucraina ha messo in moto negli ultimi 12 mesi.

Lamentele che per primo Guterres ha sempre amplificato condannando ripetutamente le potenze industrializzate per non essere riuscite ad aiutare i paesi a basso e medio reddito ad affrontare l’impatto del cambiamento climatico, la pandemia, i conflitti e lo stress economico dovuto all’aumento dei costi di indebitamento. Dopo la pandemia fu proprio il Segretario Generale a denunciare come le risorse del Fondo monetario internazionale siano state distribuite in modo iniquo: i paesi dell’Unione Europea (500 milioni di persone) ricevettero 160 miliardi di dollari mentre il continente africano, tre volte la popolazione, ne incassò poco più di 34 miliardi.

Paradossalmente l’agenda di riforma di Guterres che il Gruppo dei 77 sta ritardando, se non dichiaratamente osteggiando, sembra pensata per rispondere a molte richieste dei paesi del sud del mondo, in primis la necessità di riformare il sistema finanziario globale a favore dei paesi a basso e medio reddito, molti dei quali all’epoca di Breton Woods neanche esistevano sulla mappa globale.


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