La sicurezza del personale che opera sul campo e la gestione del rischio sono ormai assunti dalle ONG come temi prioritari da diversi anni e richiedono un approccio sempre più attento e prudente anche quando si opera in aree normalmente non coinvolte da conflitti. L’attenzione è continuamente incentrata sull’indispensabile equilibrio tra l’imperativo umanitario che obbliga a perseverare nell’azione di aiuto e di protezione e la valutazione del rischio per gli operatori, italiani, internazionali e locali che costituiscono le risorse indispensabili delle nostre organizzazioni.
L’esperienza delle ONG nelle aree di crisi e nei contesti di conflitto armato è cresciuta molto negli ultimi 25 anni e si è adeguata costantemente alle situazioni e ai contesti divenuti più̀ difficili, definendo precise procedure. Molte organizzazioni hanno adottato rigorosi codici di sicurezza che vincolano l’attività̀ del proprio personale e puntano a gestire e minimizzare i rischi, molto lavoro resta da fare soprattutto per i diversi attori del mondo della cooperazione che spesso si trovano ad operare in contesti mutevoli e non hanno intorno a se un livello organizzativo strutturato. L’anno scorso il MAECI, l’AICS e le Reti delle organizzazioni della società civile AOI, CINI e LINK2007 hanno sottoscritto un protocollo rivolto agli operatori delle ONG/OSC impegnati in attività di cooperazione allo sviluppo e di aiuto umanitario, in particolare, per cooperanti e volontari, che sono chiamati a svolgere il proprio lavoro in aree, territori e Paesi caratterizzati da differenti livelli di rischio di sicurezza.
Nonostante i media ne parlino raramente, gli incidenti che coinvolgono il personale che opera sul campo sono all’ordine del giorno. A tenere il triste computo degli incidenti avvenuti, degli operatori morti, feriti o rapiti ci pensa la piattaforma opendata curata dalla ONG INSO (International NGO Safety Organization) che fornisce dati globali aggregati sugli incidenti di sicurezza e protezione che interessano le ONG e che aumentano di anno in anno. Si tratta del Key Data Dashboard, un cruscotto completamente interattivo che consente la facile visualizzazione degli indicatori chiave di sicurezza delle organizzazioni in tutti i Paesi ad alto rischio e ha lo scopo di migliorare la visibilità delle macro-tendenze in materia di sicurezza umanitaria per sensibilizzare, informare la ricerca, rafforzando la prevenzione e la pratica operativa.
Negli ultimi cinque anni si sono registrati 6454 incidenti di vari natura che hanno comportato la morte di 265 operatori e operatrici di ONG sul terreno, altri 830 colleghi sono rimasti feriti e 705 sono stati rapiti e/o privati temporaneamente della loro libertà. Il 77% degli incidenti hanno interessato operatori di ONG internazionali e si è trattato per lo più di furti, blocchi stradali, minacce di vario tipo e attacchi armati operati da gruppi criminali (52%), gruppi armati organizzati (25%) e forze governative locali (20%). Questi dati sono comunque parziali perché si riferiscono ai 15 paesi dove INSO è operativa e capace di raccogliere le informazioni.
Se volessimo stilare una classifica dei paesi più pericolosi dove operano le ONG basta incrociare i paesi che appaiono nei primi posti delle diverse categorie di rischio: Per i casi di fatalità e lesioni, sono i teatri dei più grossi conflitti della storia recente: la Siria, l’Afghanistan, la Somalia, la Repubblica Centro Africana, il Congo (Kivu) e ultimamente l’Ucraina. Ma sono sempre di più i casi registrati nei paesi cosiddetti “destabilizzati”, in particolare in Africa occidentale il Mali, il Burkina Faso, il Niger e il Camerun e dall’altra parte del continente il Sud Sudan la Somalia e il Mozambico.