Un anno dopo l’invasione russa dell’Ucraina, quasi la metà della popolazione – circa 18 milioni di persone – ha bisogno di aiuti umanitari e protezione, ha affermato il portavoce delle Nazioni Unite Stéphane Dujarric a latere dell’assemblea generale riunitasi a New York. L’anno scorso, migliaia di convogli hanno consegnato rifornimenti vitali a persone in tutte le regioni del paese, ha affermato, e gli aiuti umanitari hanno raggiunto quasi 16 milioni di persone con viveri, acqua, medicinali, riscaldamento e altre forniture. Circa sei milioni di persone hanno ricevuto assistenza in denaro per un’erogazione totale di 1,2 miliardi di dollari, il più grande programma di “cash assistance” mai operato nella storia.
Ora che la guerra entra nel secondo anno, le Nazioni Unite e i partner umanitari hanno chiesto ai paesi membri di mobilitare ulteriori 4 miliardi di dollari per assistere più di 11 milioni di persone ma purtroppo l’appello è attualmente finanziato per poco più del 14 per cento. Un dato che stride rispetto a quanta mobilitazione finanziaria la comunità internazionale stia mettendo in campo per sostenere militarmente l’Ucraina. I dati recentemente rilasciati da Kiel – Institute for the World Economy, rivelano investimenti militari impressionanti. L’amministrazione Biden e il Congresso americano hanno mobilitato risorse pari a oltre 73 miliardi di euro, la cifra più alta. Di questi, 44,3 miliardi destinati all’assistenza militare, 25,1 miliardi in aiuti economici e 3,72 miliardi per gli interventi umanitari.
Gli Stati Uniti sono seguiti dall’Ue con 35 miliardi, che consistono principalmente in aiuti finanziari (30,3 miliardi), militari (3,19 miliardi) e umanitari (1,60 miliardi). Tra i Paesi membri, la Germania è il primo con 6,16 miliardi di euro e il solo ad aver destinato una quota superiore agli aiuti umanitari (2,5 miliardi), rispetto agli aiuti militari e finanziari (rispettivamente pari a 2,36 e 1,30 miliardi di euro). Il Regno Unito invece risulta al terzo posto nella classifica globale, tra l’Ue e la Germania, con 8,31 miliardi di euro totali che si dividono in 4,89 miliardi di aiuti militari, 3,02 miliardi in aiuti finanziari e 400 milioni per il sostegno umanitario. L’Italia si colloca all’undicesimo posto – tra il Giappone e la Svezia – con 1 miliardo e 23 milioni di euro, costituiti principalmente in aiuti militari (661 miliardi di euro), finanziari (52 milioni) e umanitari (52 milioni). In termini di rapporto tra aiuto e Pil, il nostro Paese ha mobilitato lo 0,057%, collocandosi al 23esimo posto nella classifica globale stilata dall’Istituto Kiel.
Non è facile però avere certezza dell’impatto monetario del sostegno militare italiano all’Ucraina perché il nostro paese è uno dei pochissimi che non rivela il dettaglio delle armi cedute e di conseguenza è difficile fare una valutazione del controvalore. L’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini aveva parlato inizialmente di 150 milioni di euro di materiali, poi altre stime hanno fatto lievitare questa cifra a 360 milioni, e infine l’Osservatorio tedesco Kiel ha stimato la cifra di 660 milioni. Poche settimane fa l’attuale ministro degli Esteri Antonio Tajani parlato di 1 miliardo di euro di controvalore.
Gli effetti di questi investimenti militari sono oggi ben visibili in Ucraina dove le agenzie delle Nazioni Unite hanno fatto il punto sui decessi, la distruzione e i flussi migratori che si sono verificati nel paese negli ultimi 12 mesi. Secondo UNICEF quasi 500 bambini sono stati uccisi e quasi 1.000 feriti, più di 800 strutture sanitarie sono state danneggiate o distrutte dai bombardamenti, i combattimenti hanno anche interrotto l’accesso all’istruzione e migliaia di scuole materne e secondarie sono state danneggiate. In totale, 7,8 milioni di bambini sono stati colpiti e più di cinque milioni non hanno più accesso all’istruzione.
L’eredità tossica incombe sul paese per le generazioni a venire, ha affermato il portavoce del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), riferendo di un monitoraggio preliminare del conflitto condotto lo scorso anno insieme ai partner. Nel paese sono già stati identificati migliaia di incidenti di inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo e il degrado degli ecosistemi, compresi i rischi per i paesi vicini”. La mappatura e lo screening iniziale dei rischi ambientali servono solo a confermare che la guerra è letteralmente tossica e che ci sarà bisogno di un enorme sostegno internazionale per valutare, mitigare e riparare i danni in tutto il paese e alleviare i rischi per l’intera regione. I dati hanno mostrato che il conflitto ha provocato danni in molte regioni del Paese, con incidenti in centrali e impianti nucleari, infrastrutture energetiche, comprese le cisterne per lo stoccaggio del petrolio, le raffinerie di petrolio e le piattaforme di perforazione, miniere, siti industriali, stazioni di pompaggio, impianti di depurazione, impianti fognari e impianti di trasformazione agricola.
I danni si estendono anche alle aree urbane, dove la bonifica delle abitazioni distrutte potrebbe portare alla mescolanza di detriti con sostanze chimiche pericolose, in particolare l’amianto. Inoltre, l’inquinamento dovuto all’uso di armi e i grandi volumi di rifiuti militari creano anche una grande sfida di pulizia e rimozione dei detriti che potrebbe richiedere decenni.