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Ecco come cambiare la narrazione stereotipata sull’Africa in 8 mosse

Decolonizzare il mondo della cooperazione allo sviluppo è un percorso lungo che comporta cambiamenti culturali importanti che devono avvenire sia a livello delle organizzazioni che nell’opinione pubblica. Nonostante i cambiamenti degli ultimi decenni la narrazione dell’aiuto, in particolare sull’Africa, soffre di pesanti stereotipi che si auto-alimentano nelle dinamiche dell’informazione e della comunicazione, soprattutto quella che ha come scopo la raccolta di fondi.

Riequilibrare questa narrazione stereotipata sull’Africa è oggi una priorità che deve mettere in discussione i ruoli degli attori della cooperazione internazionale; le immagini di un continente definito prevalentemente da conflitti, malattie, scarsa leadership, povertà e corruzione sono obsolete e dannose. Continuiamo a vedere troppi finanziatori dello sviluppo, media e narratori occidentali che si ritraggono come “salvatori bianchi” e suscitano nell’opinione pubblica pietà per gli africani. Questa non può essere la storia unica del continente, esiste un’Africa di prospettive, un luogo dinamico, creativo, innovativo e progressista.

Prevale ancora la storia della coraggiosa celebrity bianca che si avventura in Africa a portare aiuto ai bambini malnutriti o malati presso la NGO di turno e riempie i social network di immagini e contenuti altamente stereotipati. Difficile trovare invece storie che raccontino il libero arbitrio delle comunità locali e degli individui che per risolvere le proprie sfide si sono attivati autonomamente dagli aiuti; questo contribuisce a consolidare un’idea sbagliata nell’opinione pubblica che l’Africa sia distrutta, dipendente dagli aiuti esterni e che la sua gente non abbia il potere di agire.

Africa No Filter, un’organizzazione no-profit che lavora sul cambiamento narrativo nel continente, ha lanciato una sfida alla comunità della cooperazione allo sviluppo ad adottare approcci più etici nella loro narrazione con il lancio di un manuale “How to Write About Africa in 8 Steps: Un manuale di narrativa etica”. Il manuale può essere utile per cambiare alcuni comportamenti abituali di operatori dell’informazione e della comunicazione e rimediare alle conseguenze non sempre intenzionali di una narrazione non etica e stereotipata. Esempi pratici di superamento di pratiche non etiche includono: verificare la presenza di pregiudizi, comprendere il contesto locale, co-creare storie con gli attori locali, controllare i propri privilegi, ottenere consensi significativi e documentati da chi viene rappresentato, ecc.

Le storie non etiche, secondo la guida, sono quelle che:

  • Si concentrano sul deficit di una comunità o di un individuo piuttosto che sulla sua azione
  • Storie che descrivono le organizzazioni di sviluppo come gli eroi
  • Immagini stereotipate o immagini d’archivio che non rispecchiano i soggetti della storia
  • Storie che si basano sulla pietà per coinvolgere il pubblico
  • Usare termini carichi di stereotipi

Al contrario, la narrazione etica mette in evidenza i successi e l’azione delle persone nelle storie. Le storie etiche:

  • Mostrano gli africani come capaci e innovativi
  • Evidenziano come gli africani possono collaborare tra loro
  • Mostrano gli africani, le loro comunità e organizzazioni come al centro della storia
  • Friniscono contesto e sfumature nell’affrontare i problemi
  • Non si affidano a sentimenti pietistici per influenzare il pubblico
  • Comunicano le differenti realtà dei paesi africani e non tratta l’Africa come un unico paese

La guida infine identifica i punti su cui lavorare per superare le narrazioni stereotipate e cambiare modo di raccontare il continente e la cooperazione con le comunità locali:

  1. La questione dei rapporti di potere ineguali. Le persone che lavorano per le agenzie di sviluppo, la maggior parte delle quali sono privilegiate, esercitano il loro potere nei confronti dei beneficiari degli aiuti che si sentono obbligati nei confronti di coloro che forniscono aiuti. Coloro che hanno posizioni di potere, compresi i giornalisti, sono esortati a verificare la loro situazione di privilegio quando entrano in queste comunità poiché ciò li aiuterà a riconoscere i pregiudizi.
  2. Garantire il rispetto degli impegni è una parte fondamentale del reporting etico in quanto aiuta l’intervistatore a vedere l’intervistato come un essere umano e crea fiducia tra le parti coinvolte.
  3. Affrontare i pregiudizi impliciti scegliendo persone locali come co-creatori di storie piuttosto che fare affidamento solo su risorse espatriate di ONG e donatori. Ciò contribuirà a garantire che i narratori locali abbiano il potere di raccontare le storie che vogliono ascoltare rispetto a quelle che i finanziatori vogliono raccontare.
  4. Mostrare i modi innovativi in ​​cui i locali affrontano i problemi all’interno delle loro comunità piuttosto che rappresentarli come destinatari passivi e oppressi.
  5. Usare linee guida etiche e comprendere correttamente il consenso informato assicurando che la gente del posto comprenda cosa sia il “consenso informato”. I narratori dovrebbero ricevere il consenso dei loro soggetti e garantire che i loro diritti siano rispettati utilizzando moduli di consenso che descrivono in dettaglio il motivo per cui le informazioni vengono raccolte, come verrà utilizzata la storia e i rischi della condivisione della storia.
  6. Investire tempo nei progetti di comunicazione e informazione, una accurata pianificazione e il coinvolgimento di diversi attori eviterà di incappare in pratiche non etiche.
  7. Investire nelle persone mettendo a disposizione risorse per la formazione sull’etica, per il counselling e il sostegno ai gruppi vulnerabili e mostrando un’attenzione genuina per le persone durante il processo di creazione di una storia.

Scarica il rapporto completo


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  1. condivido al 300%! ho vissuto in Africa viaggiato scritto dipinto ed insegnato. Sono counselor con impegno in un laboratorio di inclusione, volontaria con rifugiati e musicista.

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