Nei prossimi giorni il governo si appresta a chiudere la manovra economica e il dibattito politico si accalora sull’eliminazione di questa o quella tassa: la plastica, gli zuccheri, le auto aziendali. I leader politici fanno crociate in televisione per dimostrare chi è il vero paladino che eliminerà più balzelli nell’interesse dei cittadini. Effettivamente è molto comodo rispondere a domande banali su plastica e bibite e sicuramente non si rischia di far saltare il governo. Quindi tutti d’accordo, giornalisti inclusi.
A voler mettere in difficoltà chi governa ci sarebbe una piccola questione da risolvere oltremare. Certo non si tratta di una cosa urgente e soprattutto non ci mette e non ci toglie neanche un euro nelle tasche (apparentemente).
Sabato scorso è stato prorogato in maniera automatica il Memorandum d’intesa Italia-Libia sui migranti (Memorandum of understanding, Mou) stipulato dal governo italiano (Gentiloni & Co.) con il governo di Tripoli il 2 febbraio 2017. Due anni di continuative denunce di violazioni dei diritti umani documentate dalle Nazioni Unite e perpetrate nei centri di detenzione libici. Tratta di esseri umani, torture, violenze sessuali, stupri e abusi di ogni tipo, il tutto all’interno di strutture finanziate anche dal governo italiano. Delitti commessi dai funzionari pubblici libici, dai miliziani che fanno parte di gruppi armati e dai trafficanti in un contesto di assoluta impunità che il nostro governo ha deciso di prorogare automaticamente per altri tre anni.
Non i politici in TV ma le organizzazioni della società civile e alcuni giornalisti “militanti”, hanno sollevato un piccolo polverone negli ultimi dieci giorni precedenti la data di tacito rinnovo. Niente di nuovo, se non ricordare al ministro degli Esteri di Maio i terribili fatti accaduti in questi due anni, una lista infinita di criticità e violazioni che avrebbero dovuto innescare un dibattito politico ben più ampio di quello sulla manovra finanziaria.
Già nel 2017 l’Onu aveva puntato il dito contro la guardia costiera libica, denunciandone il coinvolgimento in “gravi violazioni dei diritti umani”. Altrettanto note erano le condizioni dei centri di detenzione presenti nel paese, che sempre nel 2017 l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti Umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, aveva definito “un oltraggio alla coscienza dell’umanità”. Ad oggi i centri di detenzione accessibili da Onu, Oim e organizzazioni umanitarie sono in tutto tre, a fronte dei 19 gestiti direttamente dal governo libico, mentre non possediamo dati certi sul numero di prigioni ufficiose.
Per non parlare della recente vicenda di Abd al Rahman Milad, noto come al Bija, immortalato in un video pubblicato dal Times nell’atto di frustare persone appena salvate dal mare. Come racconta il giornalista Nello Scavo nell’inchiesta pubblicata su Avvenire, nel maggio del 2017 Bija partecipò a una riunione con delegati inviati dal governo italiano, organizzata a Catania. In una recente intervista rilasciata a Francesca Mannocchi, l’uomo, oggi reintegrato dalla Guardia costiera libica, ha svelato di essere stato ricevuto al ministero dell’Interno, ma di non ricordare se agli incontri fosse presente anche Marco Minniti.
Insomma gli elementi non mancano certo per mettere il tema dei rapporti con la Libia la centro del dibattito politico. Il piccolo polverone delle ultime settimane e il pressing di alcuni esponenti della maggioranza ha quantomeno costretto il ministro degli Esteri a fare qualcosa, o almeno fare finta di farla. Ecco allora l’idea di richiedere la riunione della commissione congiunta dei due Paesi prevista dall’articolo 7 del MoU per arrivare ad alcune modifiche.
Una nota è partita in fretta e furia da Roma e ora si attende la risposta di Tripoli. L’Italia chiede un sostanziale miglioramento delle condizioni dei campi di detenzione libici impropriamente definiti centri di accoglienza nel Memorandum e di rafforzare la presenza nei centri di organismi internazionali come Unhcr e Oim, che però continuano a segnalare la mancanza di condizioni minime di sicurezza necessarie. Per non parlare poi dei centri non ufficiali gestiti dalle milizie e difficilmente influenzabili dal Memorandum.
“Il governo libico riceverà quello che suggerisce il governo italiano, lo studierà e assumerà una posizione”. Questa la reazione che arriva dal consigliere per i media del premier Fayez al-Sarraj, contattato dall’ANSA, in merito alla richiesta di modifica, che comunque da sabato scorso è da considerare rinnovato per un altro triennio, fino al 2 febbraio 2023. C’è da aspettarsi che dalla Libia arrivi presto un OK a qualunque proposta italiana di modifica, ovviamente ci sarà da pagare il conto. E per l’ennesima volta saranno i libici a presentarcelo e non è detto che non ci costi quanto una micro tassa della finanziaria.
Secondo un calcolo fatto da Oxfam Italia, tra il 2017 e il 2019 il nostro Paese ha finanziato interventi per un costo pari a oltre 150 milioni di euro. A questa cifra, vanno aggiunti anche i quasi 370 milioni di euro che l’Unione europea ha dedicato dal 2014 al settembre 2019 in programmi in Libia per la gestione delle migrazioni.