Non si sono fatte attendere le reazioni alla nomina del nuovo direttore dell’Agenzia Italiana per la cooperazione allo sviluppo, reazioni che testimoniano l’esistenza di visioni diverse sul futuro della cooperazione italiana dopo la riforma del 2014 che si sono manifestate in modo molto palese già dalle dimissioni della prima direttrice, Laura Frigenti. Una tensione durata tredici mesi che oggi emerge dai commenti sui social e viene argomentata in modo chiaro e trasparente dalla persona che più si è esposta a sostegno di un’AICS innovatrice e autonoma, Emilio Ciarlo, attuale responsabile dei rapporti istituzionali e della comunicazione e contendente alla carica di direttore. L’immagine postata sui social il giorno dopo la nomina di Luca Maetripieri è quella della controriforma cinquecentesca della chiesa perché a detta di Ciarlo, e di tanti altri, la visone che esce vittoriosa da questa selezione è quella di una cooperazione succube della politica estera che annulla gli effetti della riforma targata 125/2014.
In un lungo post pubblicato su Facebook, che riportiamo integralmente qui di seguito, Emilio Ciarlo argomenta il suo disappunto rispetto alla scelta “politica” effettuata dal governo e in particolare dalla Farnesina e conclude con l’annuncio delle sue dimissioni dall’incarico attuale in AICS.
Un addio che lascia intendere però la volontà di continuare il suo impegno per la cooperazione: “E’ il momento di concludere quello che è piedi, poi buon lavoro, è venuto il momento di costruire fuori”, questo il tweet di Ciarlo che accompagna la sua riflessione.
“Volevamo che la Cooperazione fosse una Politica. Il contributo dell’Italia a un’idea di globalizzazione dei diritti e dei rapporti internazionali, un modo per essere “creatori” di sviluppo, non pianificatori, non benefattori, non semplicemente caritatevoli.
Per questo doveva essere complementare e non succube della politica estera. Parte integrante non ancillare. Per questo è stata istituita un’Agenzia, autonoma, specializzata, con un proprio punto di vista sullo sviluppo, uno sguardo italiano ma collegato al dibattito internazionale su sostenibilità e crescita umana, più attento alle esigenze dell’economia dello sviluppo che a quelle degli interessi nazionali. A fare una sintesi con le istanze politiche, le preoccupazioni diplomatiche, le considerazioni commerciali ci avrebbe pensato l’altra gamba, quella del Ministero, in una dialettica trasparente che sarebbe stata mediata e risolta, a favore dell’una o dell’altra posizione, dal Viceministro, cioè dalla politica espressione del Governo e del Parlamento.
Questo era l’equilibrio. Questo il disegno, originale, considerato ora dall’Ocse e dai nostri partner europei, un’architettura innovativa e promettente. Questo equilibrio ora salta. Sostenere, come ho letto, che “adesso bisognerà garantire all’Agenzia il pieno riconoscimento nel severo rispetto dell’autonoma capacità e della piena responsabilità attribuitele dal legislatore” è comico e rappresenta una incomprensione preoccupante delle dinamiche istituzionali, politiche e persino giuridiche.
Si è voluto cambiare quell’equilibrio, anestetizzare la gamba dello sviluppo, ritenendo più funzionale e utile in questo momento l’allineamento alle direttive politiche piuttosto del confronto, spesso faticoso da sostenere se non si hanno contenuti solidi e una chiara direzione di marcia. Una scelta politica legittima, quindi condivisibile o meno, ma certamente non da dissimulare piuttosto da affrontare.
Secondo. L’Agenzia aveva per la prima volta iniziato a focalizzare temi, priorità, eccellenze, campi di azione, nuovi strumenti. Sicuramente non era ancora abbastanza ma certo era più di quanto fatto in passato. Gli obiettivi che auguro al Direttore di raggiungere in questi anni sono il completamento del primo sistema di valutazione dei progetti (inesistente nella vecchia cooperazione italiana) ora finalmente in costruzione; l’entrata in funzione del nuovo sistema informatico, dotato di business intelligence per l’analisi dei dati (abbiamo ereditato un sistema informatico vetusto e fuori legge); la progressiva messa a fuoco di priorità geografiche e soprattutto tematiche, collegate a stanziamenti e budget, impostazione che abbiamo insistentemente promosso (dal punto di vista “tecnico”) nel nuovo Documento triennale strategico, infine l’ulteriore miglioramento della nostra posizione nella classifica sulla trasparenza degli aiuti. Si potrà continuare su questa strada? Lo spero ma temo fortemente che la nuova (vecchia) governance (reale), inerzialmente e istintivamente, tornerà a quella programmazione randomica, frammentata e senza strategia (oltre che molto indietro in trasparenza) che costituiva una delle principali critiche dell’Ocse alla cooperazione italiana. Di sicuro è importantissimo introdurre forze nuove con un nuovo pubblico concorso (mi pare di aver scritto entrambi gli emendamenti legislativi per ottenerlo). Mi sorprende però che un esponente della società civile indichi nel bando di concorso e non in quelli che ho citato, la principale finalità da perseguire nel futuro all’Agenzia. L’altra sarebbe il trasferimento della sede di Roma (senza citare l’abbandono di Firenze voluto da altri palazzi). Certo roba forte, da Nobel, di grande profilo politico. Rispondo come risposi a un’altissima carica del Maeci che analogamente identificava nel “concorso” la mission dell’Agenzia: “se questa è tutta la sua visione bastava fare due bandi non una riforma”. E infatti.
Terzo. Abbiamo sempre detto che la Cooperazione in tutti i Paesi seri è una politica con una sua specificità, che occorrono capacità manageriali, di relazioni pubbliche, di conoscenza dell’economia e di comprensione delle dinamiche istituzionali sia nazionali che internazionali per farla. Soprattutto che l’Agenzia è una istituzione pubblica a servizio dell’intero Governo (non del MAECI come pure erroneamente ho visto scritto in un comunicato ufficiale) e quindi è qualcosa di molto molto distante e diverso da una OSC, nella sua mission (istituzionale), nel suo modo di funzionare, nella scelta di progetti e iniziative (di cui solo il 10% è realizzato attraverso la pur ottima partnership con la società civile) e nella visione di cui deve essere capace. Forse quando si ragiona di candidature arrivate o non arrivate dalla società civile occorre considerare meglio questo aspetto. Così come occorre prendere atto della non positiva immagine, oramai consolidata nei circoli internazionali, sulla reale possibilità in Italia di lavorare con serenità a una innovazione della cooperazione, senza subire boicottaggi e resistenze. Un Paese, il nostro, che ha perso tutte le candidature internazionali (tra alte cariche in istituzioni internazionali e sedi di organizzazioni) dovrà porsi il problema della credibilità internazionale sua e di chi lo rappresenta così come, oramai, della appetibilità delle posizioni che offre.
Quarto. Ho dubbi su alcune scelte di fondo che potrebbero esser fatte: su quale idea di partnership pubblico-privato si avrà, quale rapporto con il mondo profit e quale modalità per promuoverlo, sullo spostamento progressivo verso un approccio “beyond aid” della cooperazione, sul coraggio di sostenere strumenti finanziari innovativi, sulla volontà di investire risorse umane e finanziarie sui temi dei “global goods” così come dell’energia e dell’ambiente, sulla prosecuzione del lavoro con le Diaspore, sulla grinta per accreditarsi presso le istituzioni finanziarie internazionali così come presso il Green Climate Fund. Lo dico semplicemente perché prima non vi era nulla di tutto questo, temo si siano create le condizioni per tornare a quella situazione ma incito il nuovo Direttore a proseguire.
Infine, mi pare evidente che questo Paese ha un problema con le riforme, con il cambiamento, con la sfida della qualità e della modernità. Che spesso ripieghi nella conservazione di equilibri conosciuti, nella preservazione di ruoli immutabili, della comodità della mediocrità generale, nella ricerca del sussidio, della spartizione partecipativa e che stenti a fare passi in avanti. Almeno questo vale ahimè per la politica e per la pubblica amministrazione, a volte per vari eterni corpi intermedi, associativi o sindacali. Sono temi da affrontare altrove e in altri momenti.
Tuttavia credo che occorra essere coerenti con la propria storia e le proprie idee, irridere gli inviti ad accontentarsi lamentandosi, ad accettare il contentino per stare buono. Io non condivido il significato politico della scelta fatta e tantomeno l’idea che una scelta valga un’altra.
Non credo di poter essere di alcuna utilità nel prossimo scenario che d’altra parte, sono certo, non sarà definitivo. Per questo, ho già preannunciato al nuovo Direttore che rimetterò il mio incarico, chiedendogli solo di farmi concludere le iniziative dei prossimi mesi, già da tempo preparate, e di assicurare un professionale e leale passaggio di consegne.”