Due anni fa ormai avevamo pubblicato un post da titolo “Chi non vuole le ONG”. L’articolo parlava di un crescente numero di paesi che stavano legiferando per ostacolare il lavoro delle ONG. Questo è di fatto accaduto in diversi paesi non proprio considerabili tra i campioni di democrazia e pluralismo. Cina, Russia, India, Sud Sudan, Kenya, Egitto, Uganda hanno seguito l’esempio da altri paesi (Eritrea) che già da anni hanno messo praticamente al bando le organizzazioni della società civile, straniere e locali. A due anni di distanza vi riproponiamo questo titolo per parlare di fatti che stanno accadendo molto più vicino a casa nostra, in Ungheria, in Europa, e forse anche in Italia.
Partiamo dell’Ungheria. Malgrado le proteste, il Parlamento ungherese ha avviato l’iter parlamentare della controversa proposta di legge contro le ONG che ricevono finanziamenti dall’estero. Il governo del premier ultranazionalista Viktor Orban, con questa legge punta a limitare le ingerenze straniere nel paese obbligando tutte le ONG che ricevano più di 24 mila euro l’anno a iscriversi a un apposito albo presso il tribunale e di apporre sui loro siti e su tutte le pubblicazioni la qualifica “organizzazione finanziata dall’estero”. Chi si oppone alla legge, compresi gli attivisti delle ONG, vede in questi provvedimenti un’ulteriore restrizione alla libertà in un paese in cui il partito al potere controlla già gran parte dei mezzi di informazione. Da sottolineare che l’azione legislativa proposta da Orban sulle ONG è stata avanzata proprio a seguito della pressione migratoria nel paese dello scorso anno durante la quale le ONG si sono fortemente mobilitate per assistere i rifugiati che entravano nel paese e per combattere la politica dei muri messa in atto dal presidente.
Anche a casa nostra nelle ultime settimane non tira una buona aria per le ONG. Da ormai un mese subiscono attacchi gravissimi e indiscriminati da parte di vari esponenti politici e riprese da molti media nazionali sulla base di accuse generiche e non circostanziate. Il tema attuale è quello relativo alle organizzazioni impegnate nei soccorsi in mare, ma in realtà si arriva a criminalizzare l’intero sistema della cooperazione internazionale, generando un clima di sospetto pericoloso tra i cittadini e le organizzazioni della società civile.
In poche settimane abbiamo visto decine di titoli sui giornali di questo tipo: “Più di 8mila sbarchi in 3 giorni: l’oscuro ruolo delle Ong private”, “Le Ong potrebbero destabilizzare l’economia italiana per trarne dei vantaggi”, “Ong: i numeri di un business criminale”, “Ong, colossale sistema criminale per la nuova Eurafrica”.
In un’audizione della Commissione Difesa il senatore Gasparri ha accusato Medici Senza Frontiere di avere un ruolo politico e di essersi inventati nuovi modi di salvare vite per sostituirsi agli stati. *Non fate i santarelli, voi siete un soggetto politico con tesi pericolose e non una organizzazione umanitaria”, così ha chiuso il suo intervento in commissione.
L’indagine conoscitiva del Senato si concluderà a quanto sembra con la richiesta di norme più stringenti per le ONG. Tra le ipotesi ventilate dal presidente della commissione, Nicola Latorre, si potrebbe arrivare fino alla creazione di una sorta di «white list» delle ONG che accettano di farsi controllare i conti, la registrazione della posizione delle ONG, la presenza di ufficiali giudiziari sulle navi e un riordino delle ONG su base europea.
Mentre in Italia si continua a discutere anche nel Parlamento europeo si consuma uno scontro che riguarda le ONG. La commissione di controllo dei bilanci sta discutendo un progetto di relazione presentato dall’eurodeputato tedesco del Ppe Markus Pieper, in cui si chiede l’introduzione di paletti per il finanziamento delle organizzazioni non governative – che nel 2015 avrebbero ricevuto 1,2 miliardi di fondi europei – in particolare per quelle che fanno lobbying presso le istituzioni e per quelle che criticano le politiche dell’Unione.
La commissione di controllo dei bilanci aveva sollecitato uno studio sul tema, pubblicato a gennaio con il titolo “Responsabilità democratica e controllo di bilancio delle organizzazioni non governative finanziate dal bilancio dell’Ue”. Lo studio espone alcune critiche – in particolare l’assenza di una definizione univoca di ONG a livello comunitario e la difficoltà di ricostruire il flusso di finanziamenti UE dalle banche dati – e chiude sollecitando le istituzioni europee a promuovere una maggiore trasparenza.
Il report di Pieper parla di opacità e incoerenza dei dati finanziari di alcune ONG e ventila l’ipotesi che «alcuni corpi della Commissione» sfruttino la distribuzione di fondi «per portare avanti la loro agenda politica». Nel draft si chiede l’introduzione di regole armonizzate su trasparenza e monitoraggio dei finanziamenti alle ONG, sulla base delle quali Commissione, Parlamento e Corte dei conti europea possano controllare le attività delle singole organizzazioni.
Le opinioni di Markus Pieper sui finanziamenti delle ONG sono appoggiate da diversi politici conservatori soprattutto del PPE. Parlando al congresso del PPE a Malta alcune settimana fa, il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha infatti ribadito il suo attacco a quello che ha definito “the NGO business of immigration”.
Sulla bozza di risoluzione verdi e socialisti hanno dato battaglia, chiedendo al PPE di ritirare il testo perché ritengono che il testo miri a rendere difficile la vita delle organizzazioni non governative, in particolare quelle che criticano le politiche dell’Unione, e a creare un clima di sospetto su di loro.
Anche i grillini si sono già attivati a Bruxelles sulla scia di quanto presentato da Pieper. Il MoVimento 5 Stelle presenterà degli emendamenti per migliorare il testo che chiede più trasparenza a tutte le ONG, non solo quelle impegnate in operazioni di soccorso nel Mar Mediterraneo. “Chiederemo di tracciare l’utilizzo dei fondi pubblici, per far luce su l’opacità e l’incongruenza della Commissione europea nel finanziamento delle ONG. Chiederemo un sistema unico centralizzato di registrazione e gestione delle sovvenzioni e dichiarazione dello stato patrimoniale e delle remunerazioni dei dirigenti”, così hanno dichiarato alcuni giorni fa.
Più di trenta anni fa ho oubblicato sulla rivista Jojoba un articoletto intitolato “Chi ha paura dlela cooperazione?” seguito nel numero successivo da un altro articolo dal titolo “C’è chi ha paura dello sviluppo e chi ha paura della cooperazione”… Corsi e ricorsi…
Non mi è chiaro, dall’articolo, quale paura noi ONG dovremmo avere nei confronti di un sistema più trasparente e di una migliore tracciabilità dei fondi per la cooperazione.
La tracciabilità per noi dovrebbe essere la norma, e del resto per questo esiste opencooperazione su base volontaria. Se le istituzioni la rendono obbligatoria, qual’è il problema?