Nelle due settimane successive alla nomina al vertice dell’Agenzia per la cooperazione molti lettori ci hanno scritto per sapere di più su Laura Frigenti, candidata outsider che è riuscita a sbaragliare la concorrenza di 131 contendenti alla carica di direttore. Al di la del suo importante curriculum, pochi sanno qualcosa di Laura Frigenti, anche perchè da oltre vent’anni lavora all’estero, prevalentemente negli States. Una donna di grande esperienza nel settore dello sviluppo internazionale che però nessuno di noi ha mai sentito parlare alle decine e decine di conferenze che hanno accompagnato la lunghissima fase di riforma della cooperazione italiana. Bisogna dirlo, la sua è stata una nomina inattesa che in molti nel nostro settore fanno ancora fatica a digerire. Ma la maggior parte degli operatori della cooperazione apprezzano proprio questo aspetto e si attendono da Laura Frigenti un approccio nuovo e ambizioso per la cooperazione italiana che sappia andare al di la delle dinamiche politiche e diplomatiche e riesca a guardare oltre il piazzale della Farnesina. Ecco cosa ci ha detto sull’Agenzia, sul futuro della cooperazione e delle ONG.
In Italia ci sono circa 250 ONG e almeno 1500 associazioni e gruppi che si occupano prevalentemente di cooperazione allo sviluppo e solidarietà internazionale. Il lavoro del nostro blog, rivolto a tutte le persone interessate a vario titolo (lavorativo e/o volontario) alla cooperazione, ci mostra numeri sorprendenti e una miriade di realtà sparse per il paese. La crisi economica e la riduzione progressiva dell’investimento pubblico sulla cooperazione degli ultimi cinque anni ha messo a dura prova questo tessuto di società civile. Per alcuni osservatori l’esistenza di così tante realtà è un valore aggiunto nel contesto italiano e rappresenta una storia di successo, per altri è il motivo principale della crisi del settore e della difficoltà di rilanciare la cooperazione in Italia. Cosa ne pensa? Percepisce il valore aggiunto o la criticità?
Io ho avuto per anni l’opportunità di vedere il lavoro degli organismi non governativi Italiani, e più in generale globali, sul campo e posso dirle che ho sempre pensato che la maggior parte dell’innovazione sia nell’area del service delivery che nella creazione di opportunità economiche venga da li. La molteplicità di organismi operanti è una ricchezza che va preservata, perché contribuisce a questo spirito di creatività. Allo stesso tempo credo sia importante che le ONG pensino alla diversificazione delle fonti di finanziamento. Nella mia esperienza di lavoro con le NGO americane ho potuto vedere che esse traggono parte della loro grande forza dalla capacita di attrarre risorse ed investimenti privati, sia individuali, che filantropici, che altro. E’ proprio da questa molteplicità di fonti finanziarie, in particolare dal rapporto diretto con le comunità che rappresentano, che traggono la loro forza nei confronti delle forze politiche e del potere esecutivo. Io spero che ci sia un ruolo che l’Agenzia può giocare per rafforzare questo processo di diversificazione.
Il concetto e il ruolo delle ONG sta evolvendo e sembra destinato a cambiare significativamente nei prossimi anni. Le nostre istituzioni, anche all’interno del nuovo quadro normativo, cosa si aspettano dalle Organizzazioni Non Governative? Esiste ancora una specificità delle ONG nella cooperazione allo sviluppo?
Personalmente credo che l’approvazione degli SDGs ed il framework proposto dal FFD ad Addis Abeba abbiano indicano che i ruoli di tutti gli attori dello sviluppo devono evolvere. Le ONG tra questi. Credo che un ruolo importante rimanga per loro nel rafforzamento della capacità delle ONG locali che dovranno prendere un ruolo sempre più prominente. Importantissima, soprattutto con l’auspicato aumento delle risorse dedicate allo sviluppo, è anche l’advocacy per garantire che tali risorse siano effettivamente destinate ad obiettivi di sviluppo. Infine su un piano operativo, credo che ancora non ci siano alternative alle ONG internazionali per operare nei paesi fragili ed in condizioni di emergenze naturali o man-made.
Lei ha operato negli ultimi anni per un’organizzazione di secondo livello delle ONG statunitensi. Può indicarci, a suo parere, tre priorità su cui le ONG dovrebbero lavorare per svolgere al meglio il loro ruolo in questo contesto che cambia.
Una l’ho già indicata precedentemente e si tratta della diversificazione delle fonti di finanziamento. La seconda è l’apertura del dialogo con gli altri attori di cooperazione. Il settore privato prima di tutto è un partner a volte complesso, ma a mio avviso indispensabile, per cui aprire forme di dialogo è importante. La terza è quella di prepararsi ai cambiamenti strutturali necessari per rispondere ai cambiamenti del contesto globale. Cambi di organizzazione, di skills e capitale umano e di business development strategy. Questa e proprio l’agenda di cui io mi sono occupata più concretamente negli ultimi due anni e sulla quale vorrei mettere a disposizione le esperienze fatte in questa mia nuova posizione.
Oltre alle ONG, la nuova legge 125/2014 apre la strada della cooperazione a diversi nuovi attori che, a dire il vero, sembra fatichino a emergere. Come pensa potrà essere organizzato/facilitato il dialogo e la collaborazione tra l’Agenzia e tutti questi stakeholders? Ha in mente qualche percorso/strumento innovativo rispetto al passato?
Io credo molto nel dialogo e al fatto che le buone idee, quelle destinate a durare, vengono pensando insieme. Vorrei senz’altro aprire questa conversazione….. magari ne riparliamo più concretamente tra qualche mese.
Lei conosce sicuramente il percorso normativo della riforma della cooperazione ed è attualmente impegnata in prima persona nella stesura dei regolamenti attuativi dell’Agenzia. Una delle più grandi preoccupazioni degli operatori del settore riguarda proprio la distribuzione di ruoli e competenze tra DGCS e Agenzia. Quali sono i suoi punti fermi a riguardo?
I punti fermi non sono solamente miei ma piuttosto il quadro di riferimento offerto dalla legge. Alla DGCS rimane la competenza di definizione delle scelte politiche, all’Agenzia la responsabilità di identificare i migliori strumenti operativi, i più efficaci partner strategici, ed io spero di introdurre elementi di innovazione nel modus operandi della cooperazione Italiana. Come sempre accade l’abilità di far funzionare in pratica questo schema teorico concettuale sarà il risultato di good judgement e buona volontà di lavorare insieme.
Parliamo di risorse economiche, risorse che il governo sembra intenzionato ad aumentare progressivamente a partire dalla Legge di Stabilità appena approvata. Tutti gli operatori del settore concordano sul fatto che la DGCS non sia stata in grado in passato di gestire le risorse in modo sufficientemente trasparente, puntuale ed efficace. Nonostante la lenta inversione di tendenza degli ultimi anni, la Cooperazione Italiana non ha una bella fama soprattutto con chi ci ha a che fare quotidianamente. In molti temono che l’Agenzia sarà organizzata in piena continuità con la DGCS e che ne erediterà le farraginose procedure. Ci può rassicurare in merito?
Al momento io posso rassicurarla sulla mia intenzione di rendere l’Agenzia una macchina operativa efficiente. Se ci riuscirò lo giudicherete dai risultati. Al momento mentre siamo in piena fase di definizione delle procedure operative e posso iniziare con il promettere la mia massima serietà nel raggiungere questo obiettivo (per il quale tengo a sottolineare abbiamo bisogno dell’aiuto e delle idee di tutti coloro interessati a contribuire!) e l’impegno mio e dei colleghi che hanno cominciato a lavorare su questi temi.
Se dovesse fare una donazione a favore di una ONG per sostenere un progetto di cooperazione quale di questi tre sceglierebbe?
- La costruzione di 20 nuove scuole in Burkina Faso;
- La realizzazione di impianti solari per l’irrigazione nelle zone semi aride del Kenya;
- Il supporto a un Forum di donne che in Sud Sudan rivendica il diritto alla terra e alla salute nelle aree di estrazione petrolifera.
Ci spiega brevemente il perché della sua scelta?
Questa è una domanda tremenda che io mi sono posta tante volte e nel corso della mia carriera cambiando opinione varie volte come risultato del mio percorso personale e dell’approfondimento delle tematiche dello sviluppo. Ovviamente tutto è importante e in molti casi tutto è urgente.
Però se capisco lo spirito della sua domanda, e quindi posta davanti alla necessità di individuare una priorità’ unica dove mettere le mie risorse personali, a questo punto io direi che la cosa più importante e investire nella creazione di capitale umano, perché da li deriva tutto il resto. Per cui finanzierei le scuole con la speranza che i giovani formati in quelle scuole possano diventare un motore di sviluppo per le loro comunità e che da questo motore si generino opportunità per stimolare l’economia locale in senso più lato.
Un ringraziamento a Laura Frigenti per averci risposto con grande celerità e un augurio di buon lavoro da parte della community di Info Cooperazione. (intervista a cura di Elias Gerovasi)
mi pare che già vent’anni fa l’idea di finanziare la costruzione di nuove scuole nei paesi poveri era finalmente finita nella spazzatura: una volta costruite le scuole…come le riempio e le faccio funzionare(materiali didattici, utenze, maestri/professori,frequenza alunni? Alzi la mano chi non ha visto edifici scolastici della cooperazione abbandonati perche’ non c’erano soldi per mandarli avanti..
piuttosto deluso da queste prime righe!!!
Qualcuno sa spiegarmi perchè il bilancio dell’Agenzia ha carattere privatistico?