Poco più dell’1% di tutti gli aiuti ufficiali, e una parte ancora più piccola dei fondi destinati all’assistenza umanitaria, raggiungono direttamente il cosiddetto sud del mondo. Anche le fondazioni private, secondo una ricerca ancora inedita, preferiscono canalizzare la maggior parte dei loro finanziamento attraverso quelli che possiamo chiamare “funder-mediaries” nel nord (intermediari di fondi). Secondo alcuni osservatori questa incapacità dei donatori di supportare direttamente la società civile dei paesi partner creerebbe inefficienze e minerebbe lo sviluppo stesso delle organizzazioni locali. La rete globale Civicus ha dedicato un rapporto annuale a questo tema chiedendo ai principali donor globali perché non sembrano in grado, o non vogliono, finanziare direttamente le organizzazioni locali. Ecco le cinque risposte più frequenti registrate
1. Molte organizzazioni della società civile del sud non hanno la capacità di compilare tutti i nostri moduli, per non parlare di spendere i nostri soldi in modo efficace.
2. Noi non abbiamo la capacità amministrativa di dare piccole somme di denaro.
3. Abbiamo bisogno di canalizzare i fondi attraverso partner certificati, in modo da poter gestire il rischio e rispettare le nostre regole.
4. Abbiamo rigide regole anti-terrorismo e anti-riciclaggio che rendono difficile un sostegno diretto alle organizzazioni locali.
5. Abbiamo forti pressioni politiche interne che ci chiedono di finanziare attraverso le organizzazioni della società civile nel nostro paese.
Nessuno pone un problema di efficienza o impatto degli aiuti. Tutti i cinque motivi si riferiscono alla capacità di stare nelle regole di quella che molti chiamano “l’industria dell’aiuto”. Il problema è che i donatori si concentrano progressivamente sulla capacità di implementare più che sulla capacità di provocare il cambiamento sociale. Spinti dalla necessità di misurare i risultati, i donatori hanno contribuito a creare un certo numero di organizzazioni della società civile in loco che oggi sono eccellenti nella gestione e nella contabilità ma meno bravi nel lavoro di mobilitazione locale.
Le poche organizzazioni locali finanziate direttamente dai grandi donors sono quindi quelle organizzazioni della società civile che si sono fortemente professionalizzate, spesso a immagine e somiglianza delle ONG internazionali. In molti casi queste ONG locali sono state fondate con un sostegno esterno e in diversi casi sono basate in un paese europeo. Hanno capacità di progettare, implementare e monitorare, digeriscono rapidamente il gergo dell’aiuto internazionale e le sue nuove parole chiave, sanno preparare una logframe plausibile, e possono partecipare a conferenze e forum di alto livello.
L’analisi di Civicus evidenzia che nel contempo, le piccole organizzazioni della società civile di questi paesi, in particolare quelle più vicine alle comunità e incapaci di strutturarsi secondo certi standard, faticano sempre più a trovare le risorse per sostenere il loro lavoro. I finanziamenti statali locali sono quasi inesistenti o politicamente problematici, anche le fondazioni private del sud sono poche e non inclini a finanziare attività di advocacy e cambiamento sociale.
Il report suggerisce ai donatori di fare uno sforzo per finanziare la diversità. Per raggiungere risultati concreti e provocare un reale cambiamento nei diversi contesti del sud globale serve mettere a disposizione una varietà di fonti di finanziamento che corrisponda alla diversità di forme della società civile stessa. Oggi invece si assiste a una progressiva omologazione degli strumenti messi a disposizione dei donors che tagliano fuori una parte importante degli attori capaci di provocare il cambiamento.
La buona notizia è che anche i “funder-mediaries” nel nord (spesso ONG o fondazioni) possono dare una mano in questo senso trasformandosi loro stessi in donatori. La dinamica del re-granting o sub-granting permette infatti di erogare sovvenzioni di minore entità proprio per le organizzazioni più piccole, quelle dimenticate dai grandi donors. Negli ultimi anni si sono viste esperienze interessanti in questo senso come il Fondo di sviluppo delle donne africane o le cosiddette fondazioni di comunità.
I donatori devono anche riconoscere che le decisioni sui finanziamento devono avere anche una valenza politica e non possono essere condizionate esclusivamente a regole di efficienza ed efficacia. In molti contesti il ruolo della società civile è quello di porre domande difficili e di sfidare il potere, ruolo che non può essere svolto con le stesse regole di reporting o gestione di un progetto agricolo o sanitario.
Nel lungo periodo, l’aumento del sostegno diretto alle organizzazioni locali sarà una condizione necessaria (anche se non sufficiente) per conseguire i cambiamenti di cui abbiamo bisogno. Dobbiamo permettere sempre più alle comunità di determinare le proprie soluzioni ai propri problemi, la costruzione di istituzioni efficaci che possano sopravvivere e prosperare a lungo dopo la fine dei diversi progetti di cooperazione.
Leggi il “State of Civil Society Report 2015”
L’ONG internazionale per cui lavoro sostiene le strutture locali tramite il subgranting, meccanismo efficace che permette di coinvolgere direttamente le organizzazioni della società civile, accompagnandole, formandole, coinvolgendole nella gestione concreta del progetto e consentendo loro di crescere gradualmente. Una partnership sui progetti finanziati dai grandi donors presenta vantaggi per tutti, se gestita bene e seriamente: più sostenibilità grazie alla conoscenza del terreno delle ONG locali, più affidabilità grazie alla professionalità dell’ONG internazionale sul piano amministrativo, procedurale e manageriale. Perché il progetto “funzioni”, tuttavia, il cuore devono mettercelo tutti!
A mio parere invece questo rapporto interessante conferma che il sistema della cooperazione internazionale andrebbe rivisto radicalmente, oppure bisognerebbe cambiargli il nome. CO-OPERARE significa operare assieme, in virtù di scambio, confronto, vision e mission condivise.
Come si può cooperare mentre si agisce come donor di subgrants per le ong locali? Come si può cooperare creando ong locali professionalizzate, a nostra immagine e somiglianza, ma che sono spesso slegate dal contesto politico e sociale in cui operano, proprio perchè sono un prodotto occidentale anzichè espressione grassroot della società civile?
Se continua in questa strada, la cooperazione sarà sempre più un sistema che crea relazioni verticali di subalternità, profondamente segnate dalla circolazione del denaro e dai rapporti di potere che questo determina, con dei ruoli estremamente tipizzati e stereotipati che creano gap giganteschi tra ong europee e società civile in loco.
Ecco, tutto questo non mi sembra una strada per perseguire il cambiamento sociale e politico del mondo in ottica di uguaglianza e pari diritti tra nord e sud del mondo, che sognavano quelli che 40 anni fa iniziarono l’avventura di co-operare.
condivido in toto il commento di Riccardo.
Aggiungo che anche le piccole associazioni della società civile del “nord” si trovano in una situazione simile a quelle del sud, esattamente per i 5 motivi elencati in questo report, soprattutto da quando i “donatori minori” (enti locali, fondazioni e imprese di piccole e medie dimensioni) hanno diminuito la loro partecipazione (economica, ma non solo) al sistema della cooperazione.
Io credo sia politicamente corretto finanziare la collaborazione fra soggetti del nord e soggetti del Sud, piuttosto che finanziare una sola parte, fosse anche quella del Sud. Al di là dei problemi di countability che hanno i finanziatori, la capacità delle azioni di produrre cambiamenti sostenibili e duraturi sta più nel partenariato che negli interventi isolati. Come le Ong del nord sono obbligate ad avere un partner del Sud per ottenere finanziamenti, altrettanto dovrebbe essere per quelle del Sud … dunque il problema della ricerca è mal posto.
Giancarlo Malavolti
I meccanismi di subgranting che ho avuto modo fi vedere in Africa,portati avanti da grosse org ed ong avevano grossi problemi a causa del fatto che i soldi sparivano con grossa facilità.
Attualmente nel mio quotidiano, l’argomento in oggetto è vivo e molto sentito. Condivido quasi tutto dei commenti fatti. La “sparizione” dei soldi, a mio parere, dipende da “carenze” nel selezionare la controparte, sia essa del sud come del nord. Per una piccola ong locale del sud, il vero problema è riuscire a trovare e a farsi ascoltare da una ong internazionale come sembra essere quella descritta nel primo commento qui sopra a firma Daniela.
Pino Bollini