Hanno 20 anni ed amano viaggiare. Sono gli attori (o piuttosto le vittime?) del cosìddetto “volonturismo”, un fenomeno in rapida crescita soprattutto nei paesi anglosassoni. Nella sola Inghilterra, l’esperienza basata sul binomio viaggio+volontariato coinvolge circa 200.000 giovani ogni anno. Anche in Italia cresce di anno in anno il numero dei giovani che decide di spendere le proprie vacanze all’insegna di un vero e proprio volontariato in viaggio. Costruire un pozzo, dipingere una scuola, insegnare inglese ai bambini o fare animazione in un orfanatrofio sono alcuni dei compiti che vengono loro comunemente affidati. Secondo alcuni si tratta solo di una moda, per altri è una maniera per lavarsi la coscienza o per vivere esperienze adrenaliniche, specie quando la vacanza si appoggia a strutture extralusso e rischia di trasformare il volontariato in un momento da fotografare e postare su Instagram.
Il recente documentario “The Voluntourist” offre una lettura interessante di questo fenomeno e solleva questioni cruciali: quali sono le motivazioni che spingono un giovane a partire per questo tipo di viaggio? Che impatto hanno questi viaggi sulle comunità locali e sui progetti di cooperazione? La regista, Chloé Sanguinetti, ha percorso l’Asia intervistando volontari e organizzazioni locali. Grazie a lei sappiamo che i giovani del Regno Unito pagano ai tour operator migliaia di sterline per una breve esperienza di volontariato all’estero che spesso, a giudicare dal feedback dei volontari stessi, sono poco più che vacanze costose.
Il lato oscuro del volonturismo
Alla base ci sono senz’altro le buone intenzioni di chi parte: dare una mano, conoscere una cultura diversa, mettersi alla prova, fare del bene, vivere un’esperienza di solidarietà. Tuttavia, senza un’adeguata formazione ed un supporto serio, non si va lontano. Molti programmi che combinano turismo e volontariato non cercano volontari con requisiti o competenze specifiche. Chiunque puo’ partecipare. La convinzione erronea che dei ventenni poco o nulla (in)formati sul campo di volontariato a cui partecipano possano inserirsi in programmi di sviluppo sottende un atteggiamento paternalistico e perpetua gli stereotipi negativi legati al concetto di beneficenza. Gli esiti più disastrosi del volonturismo sono però evidenti a livello delle comunità locali.
“The Voluntourist” mostra che spesso i volontari nutrono aspettative irrealistiche su ciò che possono offrire a chi li ospita. In realtà, buona parte di questi viaggi di volontariato non offrono benefici reali ed hanno un impatto negativo sullo sviluppo locale. Prendiamo l’esempio dei teachers d’inglese negli orfanatrofi asiatici. L’impiego di giovani volontari non remunerati va a discapito dei lavoratori locali. La creazione di legami emotivi tra volontari e bambini abbandonati accresce il trauma emotivo di questi ultimi, allorché i visitatori scompaiono dopo poche settimane. Il fenomeno dell’orphanage tourism, diffusissimo in Cambogia, é diventato un vero e proprio business, con effetti disastrosi sui beneficiari: gli orfanatrofi mantengono basse le condizioni di vita dei bambini ospitati per garantire entrate sotto forma di beneficienza.
Il punto centrale di qualsiasi esperienza di volontariato non dovrebbe essere il beneficio per chi decide di partecipare, ma il progresso raggiunto dalla comunità locale grazie al contributo dei volontari. Il focus non dovrebbe essere l’IO, ma il LORO, insomma.
Quali alternative al volonturismo?
Premesso che la possibilità di confrontarsi con una cultura diversa offerta dal volontariato internazionale é senza dubbio positiva ed arricchente per un giovane, é necessario affidarsi ad organismi seri, che selezionino realtà locali realmente bisognose di un aiuto esterno. Imprescindibile, in questo caso, un’adeguata formazione dei volontari e un loro inserimento in progetti ben strutturati, per massimizzare gli effetti positivi sullo sviluppo delle comunità locali in cui il volontariato si svolge.
Se si rinuncia alla meta esotica, esistono inoltre moltissime opportunità per rendersi utili nella propria comunità d’origine, impegnandosi in maniera responsabile in un’esperienza di volontariato che offra continuità ai beneficiari e che sia utile per sé e per gli altri. Un’esperienza forse meno gratificante rispetto ad un soggiorno di due settimane in Thailandia, ma sicuramente più utile e “vera”. (di Daniela Gelso)
Completamente d’accordo con questo articolo, sopratutto rispetto alla questione degli stereotipi e del business che la miseria e il disagio sociale sono in grado di alimentare.
Grazie, è importantissimo diffondere informazioni sulle offerte di falso volontariato.
Legambiente organizza da decenni, all’interno del network di volontariato Alliance of European Voluntary Service Organisations, campi di volontariato in cui cittadini di tutto il mondo donano il proprio tempo, le proprie braccia e i propri sorrisi in progetti di sviluppo delle comunità locali in molti Paesi europei e alcuni extra europei.
Le organizzazioni che praticano il volonturismo sono tra i nostri principali nemici, non solo perchè ci sottraggono potenziali volontari, ma anche perchè quelli che mandano a fare del turismo alternativo tornano a casa il più delle volte senza essersi realmente misurati con i bisogni dei territori, senza aver condiviso realmente i problemi e le soluzioni, senza aver colto il seme del cambiamento da portare nelle proprie realtà quotidiane. E avendo speso cifre indecenti.
Partecipare a un campo di volontariato all’estero con Legambiente ha un costo di 120 euro, che serve per coprire le spese di gestione e sviluppo del network stesso, senza il quale non avremmo contezza di cosa stiamo offrendo ai giovani volontari. Un costo contenuto al minimo e che permette a tutti di fare quest’esperienza.
Qualche link utile:
http://www.alliance-network.eu/
http://www.legambiente.it/legambiente/campi-di-volontariato
https://www.youtube.com/watch?t=6&v=tptQgzA1dtY