Nella sua definizione più comune burnout significherebbe “sono particolarmente stanco e stressato”, in quella più tecnica è definito come “l’esito patologico di un processo stressogeno che colpisce le persone che esercitano professioni d’aiuto, qualora queste non rispondano in maniera adeguata ai carichi eccessivi di stress che il loro lavoro li porta ad assumere”. Ma il burnout reale è uno stato d’animo molto più complesso. Tra gli operatori della cooperazione e dell’umanitario è un fenomeno ricorrente ma è necessario riconoscerlo per capire se si sta attraversando solo un periodo di stanchezza o se c’è qualcosa di più profondo. Se ti senti fisicamente, mentalmente ed emotivamente esausto e ti porti addosso un senso di smarrimento del tuo scopo professionale ed esistenziale, allora potresti essere in fase di burnout e non sarà certo una vacanza o un R&R a poterti rimettere in pista.
Ma non sono solo gli operatori a dover capire i sintomi precoci del burnout, anche le organizzazioni dovrebbero capire il ruolo che svolgono nel contribuire al burnout delle loro risorse umane, all’estero come in Italia.
Ma che cosa è esattamente il burnout? Il burnout è definito come uno stato di esaurimento e frustrazione a causa dell’eccessiva devozione a un modo di vivere e lavorare che non produce i risultati attesi. E’ lo stato d’animo raggiunto da coloro che sono giunti alla fine di un’esperienza, ma non hanno avuto modo di riconoscerlo. Le persone che soffrono di burnout hanno normalmente cominciato il loro percorso professionale con slanci di passione e ideali e oggi sentono un’allergia verso il loro lavoro e fanno fatica a vedere nuovi orizzonti.
Secondo la letteratura specialistica il burnout comporta esaurimento emotivo, depersonalizzazione, un atteggiamento spesso improntato al cinismo e un sentimento di ridotta realizzazione personale. Il soggetto tende a sfuggire l’ambiente lavorativo assentandosi sempre più spesso e lavorando con entusiasmo ed interesse sempre minori, a provare frustrazione e insoddisfazione, nonché una ridotta empatia nei confronti delle persone delle quali dovrebbe occuparsi.
La radice del burnout in genere si trova in un ambiente di lavoro tossico caratterizzato da superlavoro, premi e gesti di riconoscenza molto limitati, e mancanza di confort ambientale. Secondo le ultime ricerche in materia sarebbero sei i fattori che più contribuiscono al burnout:
- sovraccarico di lavoro
- mancanza di controllo sul lavoro
- ricompense e riconoscenza insufficienti
- problemi relazionali con i colleghi sul posto di lavoro (es. mancanza di sostegno tra colleghi)
- mancanza di equità (es. disparità di paga, promozioni o carico di lavoro)
- conflitto tra i propri valori personali e le esigenze del lavoro
Se siete in fase di burnout, non dovrete pensare tanto al riposo o alla distrazione quanto a un ripensamento delle vostre priorità e del vostro stile di vita. Ecco perché una semplice vacanza potrebbe non essere la risposta. Il recupero da un tale stato di esaurimento richiede tempo, sarebbe meglio aprire gli occhi prima di arrivare al punto più basso e fare i conti al più presto con le vostre aspettative e i vostri bisogni.
Ma come si può prevenire il burnout? E le organizzazioni possono fare qualcosa per evitare che il personale piombi nel burnout?
Un ambiente di lavoro sano è sicuramente tra le chiavi della prevenzione del burnout anche se sappiamo quanto questo non si una priorità nelle organizzazioni umanitarie e spesso non sia possibile da garantire in determinati contesti. Ma prevenire o venire fuori dal burnout ha a che fare con la vita di ognuno di noi e non solo con la carriera professionale, sia questa in fase iniziale o avanzata. Ecco allora tre consigli degli esperti:
- Fare spazio per ciò che è significativo per voi, al lavoro e al di là del lavoro, al fine di evitare il senso di risentimento. Occhio a non rinunciare a troppe cose per far spazio ai bisogni degli altri.
- Mantenere le vostre aspettative sotto controllo per evitare di andare dall’idealismo alla disillusione cinica.
- Imparare a rinunciare a quella che può sembrare un’opportunità di carriera. Se ti rendi conto di essere nel ruolo sbagliato, nel paese sbagliato e non sei soddisfatto dalla tua organizzazione o dalle relazioni sociali, vienine fuori il prima possibile. Ci saranno altre opportunità ad attenderti.
Insomma se ti senti in questa fase non disperare. Guardando il problema alla rovescia il burnout può essere la tua occasione per realizzare una vita diversa. Non che il burnout possa essere definita una bella sensazione, ma può essere vista come l’opportunità di ridisegnare la propria vita, anche professionale. Da non perdere! (fonti Wikipedia e Mindfulnext)
Ringraziamo la redazione di info-cooperazione.it per aver ricordato, con questo articolo, il dovere delle ONG di tutelare il proprio personale anche sul piano psicologico. In realtà il problema del burnout rientra nel più ampio capitolo relativo alla gestione dello stress (Stress Management) nel personale umanitario, che comprende anche diversi altri fattori di rischio. Psicologi per i Popoli nel Mondo è una organizzazione specializzata nella formazione e consulenza alle ONG in questo ambito, a partire dalla fase di reclutamento e selezione, al monitoraggio e supporto in fase di missione, fino al debriefing al momento del rientro. Abbiamo in corso convenzioni in tal senso con diverse organizzazioni e siamo disponibili a collaborare con chiunque sia interessato.
Un saluto a tutti.
5 punti e mezzo su 6. Praticamente l’en-plein. Mi sono dimessa a metà agosto ma avrei voluto farlo molto prima. Ho resistito ed aspettato fino a trovare un altro posto di lavoro, cosa non proprio dietro l’angolo, ma finalmente ci sono riuscita. E’ importante ammettere però che almeno 4 dei 6 punti elencati, sono effetto del management, e secondo me purtroppo vanno al di là delle priorità, delle esigenze del momento o delle situazioni. E’evidente che il burnout non si manifesta dall’oggi al domani, ma è la conseguenza (molto spesso evitabile) di una situazione protratta nel tempo. Basterebbe davvero poco per evitarlo.