Che il panorama internazionale della cooperazione allo sviluppo sia in rapida trasformazione ed evoluzione è chiaro a molti operatori del settore, soprattutto a quelli che hanno occasione di confrontarsi e partecipare a tavoli e reti internazionali. Diverso è il caso delle tante organizzazioni, normalmente medio piccole, che sono spesso concertate nell’implementazione dei loro progetti o nella faticosa sfida per la loro sopravvivenza e non hanno energie e occasioni per leggere la realtà del settore in modo più ampio. Ne abbiamo testimonianza quotidiana attraverso i vostri stimoli e le vostre richieste al blog nel quale cerchiamo di portare spunti e informazioni per meglio descrivere il contesto attuale. Questa dimensione di evoluzione accelerata è emersa in maniera preponderante anche dall’incontro tenutosi la settimana scorsa al Ministero degli Esteri sul contributo della Società Civile (SC) e degli Enti Locali (LA) alle politiche di sviluppo dell’Unione Europea.
Il Capo dell’Unità ”Civil Society, Local Authorities” della Commissione Ue/Devco, Angelo Baglio, ha presentato il lavoro della Commissione per quanto riguarda le varie componenti della società civile, con particolare riferimento alla comunicazione della Commissione sul ruolo della società civile nelle relazioni esterne dell’Ue e nelle politiche di Cooperazione allo sviluppo. In pratica si è parlato della rinnovata visione europea della cooperazione per il periodo 2014 – 2020 e del ruolo che la Commissione assegnerebbe alla società civile e agli enti locali.
Partiamo proprio dalla società civile e dalle così dette OSC, Organizzazioni della Società Civile, sono questi gli attori che la UE individua come interlocutori. Angelo Baglio ci conferma che il concetto di ONG a livello europeo è decisamente superato e sempre meno chiaro è il ruolo che le ONG europee dovranno avere in un futuro in cui la UE supporta progressivamente le OSC dei paesi partner. Dal 2007 a oggi la percentuale dei fondi UE destinati a OSC non europee è arrivato al 40% del totale. Rimane sempre aperto anche il dibattito sulla rappresentatività delle ONG e la loro costituency, ovvero “Voi chi siete e chi rappresentate? Perché dobbiamo interfacciarci con voi?”.
I colleghi della DGCS annuiscono eppure la cooperazione italiana in questo ambito è rimasta ferma agli anni 80, l’idoneità delle ONG, le controparti locali, cooperanti e volontari della legge 49, progetti promossi, e iniziative di sola conformità…quanto siamo lontani.
La nuova vision della UE vuole portare il focus su ogni singolo paese partner, è qui che si deve costruire un ambiente favorevole (enabling environment) al supporto degli attori locali identificati (sia SC che LA) con strumenti disegnati sull’esigenza locale e altrettanti fondi dedicati. Il motto è “An empowered and competent civil society is a crucial component of any democratic system and is an asset itself …. “. Ognuno deve fare il proprio mestiere, gli enti locali dei paesi partner devono prendersi in carico i servizi pubblici e il welfare, la SC locale deve agire come “watchdog and partner in dialogue with national governments”. In questa dimensione il ruolo delle ONG europee si dovrà limitare a supportare processi di capacity building, affiancare la SC locale nelle azioni di advocacy e intervenire sui servizi pubblici solo su richiesta o accordo con gli attori governativi locali. Capite bene che per molte ONG italiane si tratta di mondi mai esplorati, per non parlare di quelle numerosissime organizzazioni che fanno solo solidarietà internazionale.
Restano esclusi da queste dinamiche i paesi politicamente deboli o in situazioni post conflitto in cui modalità di questo genere sarebbero impensabili.
L’altra novità riguarda proprio i paesi su cui verrà attuata la nuova policy europea, tagliati fuori 17 paesi a reddito medio alto (Cina, Brasile, Perù, Ecuador, India, Indonesia, etc). Su questa decisione, non ancora definitiva, è scontro aperto tra Commissione e Parlamento, quest’ultimo vorrebbe ancora un impegno UE in questi paesi.
All’incontro romano si è parlato anche del ruolo che le OSC europee devono avere in termini di educazione allo sviluppo e awareness raising in Europa e quindi dell’annoso problema dei bandi DEAR, confermati in uscita tra 15 giorni. I rappresentanti di diverse ONG e reti hanno ribadito la posizione critica rispetto alla nuova impostazione data da Devco (progetti più grandi da 3 a 5 mil con almeno 10 paesi coinvolti).
Su questo Baglio non ha lasciato spiragli, come del resto aveva fatto una settimana fa il Commissario Piegbals in una lettera alla confederazione Concord. L’impostazione che abbiamo già condiviso sul blog in altri post è confermata e non prevede margini di manovra. In breve le ragioni sarebbero tre: le 15 risorse degli uffici di EuropeAid dedicati a queste attività devono poter gestire i progetti in modo efficiente, quindi la necessità di diminuirne il numero. Dall’altra la UE confida che ogni paese membro si sia dotato di politiche nazionali sull’educazione allo sviluppo con relativi finanziamenti (ovviamente questo non è vero per l’Italia) e che quindi la UE si dedichi a finanziare solo la dimensione europea senza sostituirsi al ruolo delle istituzioni nazionali. In breve…”la UE non finanzia attività di educazione allo sviluppo in Italia in quanto tali…per quelle rivolgetevi alle vostre istituzioni nazionali (??). Noi supportiamo programmi di scambio e campagne con dimensione pan europea”. Per questo servono organizzazioni in grado di catalizzare partenariati europei e gestire programmi multi attore e multi paese. In ultimo è stato ricordato che le valutazioni dei progetti finanziati dalle UE nell’abito DEAR degli ultimi 10 anni non hanno dimostrato un reale impatto delle azioni finanziate e questo incoraggia la Commissione a cambiare approccio verso progetti potenzialmente più visibili e impattanti.
Dare una lettura complessiva dell’incontro romano non è facile, sono stati tante le provocazioni e gli spunti che pongono alle ONG la necessità di una profonda riflessione sul loro ruolo presente e futuro. E’ sicuro che un panorama ricco ma frammentato come quello italiano rischia di non essere facilmente riconvertitile e di avere più punti di debolezza che di forza davanti al cambiamento. E’ del tutto chiaro come i grandi network e le family internazionali partano avvantaggiate davanti agli scenari dipinti da Baglio e che nel futuro della SC il numero di attori dovrà diminuire drasticamente.
Un primo compito a casa per le ONG italiane potrebbe essere quello di lavorare per trasformare i partenariati progettuali in partenariati strategici.
Chiediamo ai colleghi che hanno partecipato all’incontro di contribuire con le loro riflessioni e con altri elementi non riportati in questo post.
Vedi le slide della presentazione di Baglio.
Ho partecipato all’incontro e concordo con questo scenario. Vorrei riportare un intervento che è stato fatto nel seminario. Questo tipo di cambiamenti non può essere fatto dalla burocrazia di Bruxelles e attraverso bandi. Si tratta di un cambiamento culturale ben più ampio che ha bisogno di tempo e accompagnamento. Sicuramente le ONG devono rivedere le loro strategie future ma questo non può essere fatto con queste modalità.
grazie Silvia
buongiorno, non ho partecipato al seminario, ringrazio il redattore per la chiara sintesi.
condivido comunque il mio punto di vista su due passaggi. Laddove si fa riferimento a ” Ognuno deve fare il proprio mestiere, gli enti locali dei paesi partner devono prendersi in carico i servizi pubblici e il welfare, la SC locale deve agire come “watchdog and partner in dialogue with national governments” mi pare che si sottovaluti fortemente l’evoluzione e il ruolo della società civile in europa e nel mondo. Lungi da essere solo “opinione” in quella terra di mezzo tra stato e mercato, oggi la società civile reclama una statualità autonoma sotto forma di comunità organizzate, si prende cura dello “spazio pubblico”, produce welfare e coesione. Evidentemente questa evoluzione è del tutto irrelevante laddove si voglia interloquire con attori di società civile che svolgano prevalentemente “servizi qualificati”, in questo senso lo spazio delle ong è finito si affrancheranno solo le società di consulenza.
La seconda assunzione riguarda la rappresentanza e il portato di interessi, questione chiave nel dibattito sul futuro delle ong. Il punto è il pulpito da cui viene posto la questione. La commissione europea e il soggetto istituzionale che ha fatto della sua autolegittimazione il mezzo con cui persegue il suo ruolo regolatorio a livello continentale. Esiste quindi un tema che riguarda il ruolo della società civile e della sua rappresentanza/rappresentatività ma solo accompagnato da un processo di riforma della partecipazione e democrazia Europea.