In Italia non abbiamo mai avuto un Bono Vox o un Bob Geldof, nessuna star che si sia presa a cuore i temi della povertà e dello sviluppo fino a diventare paladino di una battaglia politica che chiede ai grandi del mondo di fare di più per sconfiggere la povertà. In compenso non si contano le star e starlette nostrane che prestano la loro immagine a scopo benefico, è l’esercito dei testimonial. Ci raccontano emergenze e storie drammatiche, indossano t-shirt colorate di questa o quella organizzazione, sciolinano numeri di telefono per sms solidali e si recano nel terzo mondo ad abbracciare i bambini in avventurosi viaggi accompagnati dalla ONG di turno. Li abbiamo sentiti mille volte dirci che aiutare costa meno di un caffé, che firmare non costa nulla, che c’è bisogno di te per salvare un bambino ma non li abbiamo mai sentito dire cosa ne pensano della cooperazione allo sviluppo, dei diritti negati, delle guerre e delle dittature, delle responsabilità della politica e dell’economia globalizzata.
Sarà anche per questo che l’opinione pubblica quando si parla di ONG e cooperazione pensa subito ad un bambino da adottare, una maglietta da indossare o a qualche vita da salvare. Del perché abbia senso la solidarietà internazionale, perché si debba lottare per la giustizia sociale e appoggiare le battaglie dei più deboli non si riesce quasi mai a sentirne parlare se non nella nicchia dei volontari e operatori dell’associazionismo italiano. Anche i media mainstream danno una mano a consolidare questa visione semplice e buonista propinando solo storie di successo in cui grazie al quel progetto il nostro cooperante aiuta i poveri a risolvere i loro problemi. Quindi continuate a donare!
Una riflessione quasi inedita arriva pochi giorni fa dal blog della cantante Fiorella Mannoia sul Fatto Quotidiano.
In un interessante post intitolato “Altro che cooperazione, diamo l’Africa agli africani” la Mannoia esprime finalmente un pensiero, seppur critico, sulla cooperazione. Certo si tratta di una cantante politicamente militante, popolare ma non certo mainstream.
Parla di Sankara, del Fondo Monetario Internazionale, degli affari della Shell sul delta del Niger e se la prende con il Ministro Riccardi per non aver affrontato di petto il problema dei rimpatri e respingimenti dei migranti.
Di quale cooperazione stiamo parlando? prosegue la Mannoia. “Ci sono persone, organizzazioni che operano sul territorio, ignorate dai governi, che contano sulle proprie forze, che cercano di riparare, con i pochi mezzi che hanno, gli strappi dei grandi predatori e caparbiamente e coraggiosamente si ostinano a raccogliere l’acqua del mare con il cucchiaio. L’Africa non ha bisogno della nostra cooperazione, della nostra grande mano bianca caritatevole, utile per lavarsi la coscienza elemosinandole quello che giá gli appartiene. Diamo l’Africa agli africani, aiutiamola si, ma a non avere bisogno di noi, questa é l’unica vera cooperazione di cui hanno bisogno, il resto sono solo chiacchiere…senza neanche il distintivo”.
Al di la della condivisione o meno del pensiero della Mannoia, con questa invettiva la cantante ha mobilitato un dibattito interessante sul suo blog contribuendo forse a far uscire questi temi dalla nostra nicchia. Che sia la prima star italiana che si mobilita per una nuova visione della cooperazione?
A questo proposito, desidero segnalare, per chi non lo conoscesse, un libro che a mio parere merita di essere letto e regalato, sempre molto attuale:
Aminata Traoré, “L’immaginario violato”, Edizione Ponte alle Grazie, 2002.
Una voce dall’Africa.
Aminata Traoré, maliana, dopo aver lavorato per la Conferenza delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, ex Ministro alla Cultura e Turismo nel suo Paese, è stata una delle portavoci a Porto Alegre, battendosi per un’alternativa africana alla globalizzazione.
Nel libro sintetizza le sue esperienze professionali ed umane e fa una lucida analisi, in certi passaggi poetica oserei dire, del rapporto del suo Paese (e l’Africa e il Sud del mondo in genere), con “i padroni del mondo”, evidenziandone le contraddizioni e gli effetti devastanti che fin dalla notte dei tempi lo contraddistinguono. Ma l’autrice conclude “cantando la speranza ed esprimendo ad alta voce un sogno alternativo”.
“Il dramma del mondo contemporaneo è che le nazioni ricche – dall’11 settembre 2001 soprattutto Stati Uniti e Gran Bretagna – fanno finta di ignorare il legame tra il rullo compressore che hanno messo in moto in nome del progresso e della civiltà e l’indigenza umana che oggi si diffonde dappertutto senza risparmiare neanche i loro paesi. Ma, ostinati fino al limite dell’irresponsabilità, i padroni del mondo, pur continuando a versare lacrime di coccodrillo sugli strati sociali più deboli, pretendono dai nostri stati sforzi che impoveriscono e traumatizzano sempre più i nostri popoli… Questi stati che avevano il compito di riabilitare gli africani sono impegnati in un processo che distrugge gli abitanti dell’Africa e la sua società. Questa gente sostiene di lottare contro la povertà facendo la stessa politica che ci ha ridotto in povertà. Farebbero meglio a parlare di lotta contro i poveri!”.
Ma un’Altra Africa è possibile, così come anche Aminata Traoré conclude nel suo libro.
“L’altra Africa è affare dei popoli africani e dei loro dirigenti prima di essere affare dei finanziatori, per quanto generosi e benintenzionati essi siano… Un’altra Africa è possibile, un’Africa riconciliata con se stessa, che disponga pienamente della sua facoltà di pensare il proprio futuro e di dargli un senso, un’Africa che scriva la parola fine alla violazione dell’immaginario… Il movimento sociale mondiale è l’unica realtà che permette al nostro continente di accarezzare un nuovo sogno, quello di una vita senza catene e senza umiliazioni, e di riprendere le lotte di un tempo… L’altra Africa reclama la complicità e la solidarietà incondizionata degli altri cittadini del mondo, soprattutto dell’emisfero Nord…
… Nessuno può sviluppare l’Africa meglio di noi africani, con un approccio culturale alternativo che si richiama alla memoria, alla stima, al rispetto e alla fiducia. Non si tratta di rigettare l’Altro o ogni apporto esterno, ma di disporre del tempo e dello spazio necessari per identificare e ricostruire gli elementi sparsi del nostro io frammentato”.
Con queste parole, avendo lavorato nella cooperazione internazionale per decenni, a fianco di OnG, Amministrazioni Comunali, Associazioni di volontariato e Cooperative, in collaborazione con Enti Locali, Nazionali e Internazionali, desidero rivolgere a tutti un augurio di buon lavoro per il futuro della Cooperazione Internazionale, nella convinzione che continuando il cammino di riflessione e crescita, le OnG, investite di una responsabilità politica oltre che tecnica, e nonostante le difficoltà e a volte le contraddizioni che le caratterizzano, riescano (un giorno forse anche maggiormente compatte tra loro), a consolidare il loro ruolo di promotrici di sviluppo, non solo nel Sud del Mondo ma anche nel nostro tanto contraddittorio “Mondo Sviluppato”. A maggior ragione oggi, considerato il periodo che l’Occidente sta attraversando!
Raffaella Liuti