Ne abbiamo parlato più volte nelle pagine di questa blog soprattutto commentando i travagliati sviluppi della politica europea in materia di migrazione degli ultimi due anni. Le polemiche sugli accordi blocca-migranti che la UE e i suoi stati membri hanno preso a modello dopo il vertice di La Valletta fino ad arrivare alla costituzione del controverso Fondo Fiduciario per l’Africa e all’accordo Italia-Libia firmato nel febbraio scorso. Il concetto è semplice, spostare in Africa i confini europei, scaricare sui paesi di transito dei migranti la responsabilità di respingere, tutto questo attraverso accordi bilaterali e finanziamenti ai paesi che promettono il contenimento dei flussi. Ma c’è una cosa che non torna: che tutte queste attività di sicurezza, intelligence e rafforzamento militare dei confini, possa essere fatto passare come cooperazione allo sviluppo. Questo avviene troppo spesso sia nella narrazione della politica europea che nell’utilizzo dei fondi. Un utilizzo “deviato” appunto, come denuncia l’inchiesta #DivertedAid recentemente pubblicata sulla Stampa e realizzata da un gruppo di giornalisti freelance grazie al supporto dell’European Journalism Centre.
Un reportage composta da diversi articoli, interviste e video che documentano parte una parte dei fondi umanitari e per lo sviluppo dell’Unione europea siano in realtà spesi in Africa per la gestione delle migrazioni.
Un approfondimento è dedicato al Trust Fund Africa creato dalla Commissione fuori dal controllo del Parlamento europeo e costituito per il 95% da denaro destinato allo sviluppo (fondo FED) e che invece viene impiegato in larga parte per blindare i confini di diversi paesi africani.
Il rapporto 2016 del Trust Fund elenca 106 progetti approvati ad oggi per quasi 1,6 miliardi di euro. Li gestiscono principalmente le agenzie pubbliche di cooperazione allo sviluppo dei Paesi europei e organizzazioni internazionali come l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (Oim) ma anche aziende private, come nel caso della società partecipata dal ministero dell’interno francese Civipol, che all’estero si è specializzata nella formazione delle forze dell’ordine.
Proprio a Civipol, la controversa multinazionale francese della sicurezza che organizza fiere d’armi e formazione militare, è dedicato un altro approfondimento. Dagli atti presi in esame risulta che Civipol sia una delle organizzazioni più finanziate con i fondi europei del Trust Fund. Per l’esattezza si tratterebbe della quarta organizzazione più finanziata, dopo l’agenzia Onu per le migrazioni Oim, le agenzie pubbliche di cooperazione tedesca Giz e spagnola Fiapp, con progetti dal valore di 44 milioni di euro.
Oltre il 65% delle commesse estere di Civipol sono in Africa. Dei 40 Paesi fuori dall’UE dove Civipol è presente, 35 sono in Africa. Tra questi, ce n’è uno ha già fatto molto discutere in Europa. Si tratta dell’accordo per la formazione di guardie di frontiera tra Libia e Sudan, che ha come capofila Giz, l’agenzia di cooperazione tedesca, l’omologa francese Expertise France, il British Council, l’Organizzazione mondiale per le migrazioni (Oim) e l’agenzia ONU per la lotta alla droga (Unodc). Il progetto si chiama Border Migration Management e vale 46 milioni di euro.
Infine un interessante collage di storie di migranti che sempre più spesso trovano le rotte sbarrate e riprendono il loro cammino di ritorno forzato. Da settembre scorso infatti l’applicazione della legge 036/2015, un decreto del maggio 2015 contro la tratta di esseri umani salutato dall’Europa come passo avanti nella lotta alla migrazione irregolare, sta cambiando il volto di Agadez, città fino ad oggi chiamata «la porta del deserto» dai viaggiatori subsahariani. A più di mille chilometri dalla capitale Niamey questa tappa cruciale dei flussi migratori subsahariani verso l’Europa da pochi mesi sta vivendo una chiusura per via della criminalizzazione dei passeur e della militarizzazione della regione.